Quella terribile scocca aperta di Zolder

È vero, Enzo Ferrari ha fatto almeno un paio di richiami a Nuvolari, parlando di Gilles Villeneuve. Non certo per classificare l'inarrivabile maestria del grandissimo Tazio, al cospetto degli eroi del momento, ma per accentuare l'una o l'altra qualità in discussione. Come il dominio delle grandi potenze. Pensate che, nel 1981, con la sua fresca conversione al turbo, l'Ingegnere pensava di vincere tutti i gran premi sulle piste più rapide, proprio con Villeneuve. «Ironia della sorte, mi diceva, dove ti va a vincere Gilles? Nelle tortuosità di Montecarlo e del Jarama!». E qui sfoderava tutte le sue teorie del passato, sostenendo che, come accadeva per Nuvolari, a spuntarla è sempre chi meglio sa gestire molti cavalli.
Del resto, questa fu anche la prima osservazione del 1977, quando lo "sponsor" gli suggerì di provare quel giovane canadese, che vinceva nella Formula Atlantic e che la McLaren, ugualmente sollecitata, aveva fatto esordire in Formula 1. Allora, mi chiese di assistere alla prima prova, a Fiorano. Al termine, non aveva grandi commenti da fare. Disse soltanto: «Sa usare bene l'acceleratore!». Poi, è subentrata la guida coraggiosa e spettacolare, che Ferrari ha sempre adorato. Non solo in uomini come Nuvolari, ma anche nei giovani, come Guy Moll, che era il Villeneuve degli anni Trenta. E non parliamo delle doti parallele di abnegazione e di lealtà. Se è facile per tutti citare il famoso duello con Arnoux a Digione, il mio ricordo più sconvolgente resta per quel giro su tre ruote a Zandvoort, nel tentativo di sconfiggere la sventura e di portare ugualmente, a qualunque costo, una Ferrari al traguardo.
Osare era l'imperativo categorico di Gilles. Fin dal suo ingresso in Formula 1, nel 1977, con quella reazione al famoso assalto di Peterson al Fuji, finito in tragedia per due spettatori. Sostenni che Ronnie, quando vedeva rosso, perdeva le staffe. Lui s'infuriò, ma non volle darmi la sua versione della tremenda ruotata. Con quel suo grande volo - l'elicottero arrivava molto più tardi - Villeneuve veniva subito battezzato da un meccanico di Maranello "L'Aviatore". Sorrideva, quando così lo chiamavano, ma a denti stretti. In fondo in fondo, per quanto estroso, sbarazzino e spregiudicato, era riservato e di poche parole. Solo battutine, quando tutti scherzavano. Ad esempio, la volta che, dopo avermi spaventato con un giro a Imola, sulla sua mitica Ferrari 308, volle recarsi ad un circuito con me, su una vetturetta utilitaria, rimase impassibile alle mie rivalse e disse soltanto: «Un po' nervoso, vero?». Potrei scrivere un romanzo sulle sue bravate. Ma rifiuterei sempre, per evitare l'atto finale, troppo doloroso. Il tradimento di Pironi a Imola. La C2 capricciosa a Zolder, con lo stesso Pironi più veloce in qualifica. Lo vidi, pallido in volto, scattare nell'ultimo, fatale tentativo. Quindi, l'incomprensione con Mass, l'urto nel curvone, la scocca aperta (oggi non succederebbe!). La mia corsa all'ospedale di Leuven. L'attesa fino a notte. Il volto della moglie Johanna all'uscita dal reparto rianimazione.

La mente vuol rimuovere tutti questi ricordi, rimanendo bloccata soltanto sulla scena gioiosa della sua ultima partenza in elicottero da Fiorano, con grandi volute temerarie e con Johanna e i bambini che ridevano a inizio decollo.

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