
Ci sono almeno cinque o sei comprensibili ragioni se non circola una gran voglia di ricordare il periodo del Covid, in particolare a Milano e dintorni: e vale anche per chi, saggiamente, non abbia rimosso proprio niente e abbia metabolizzato tutti gli insegnamenti del caso. Anzitutto: sono passati cinque anni dal primo contagiato di Codogno, certo, ma neanche due anni dalla fine dell'emergenza: capirai che voglia possa esserci in giro di commemorare. Non siamo in fase di rimozione, siamo ancora in fase di elaborazione del lutto: e non in senso figurato, si parla di lutti veri, dei tanti morti che ci sono stati in Lombardia e che spesso erano genitori, nonni, amici di una vita: e alzi la mano chi non se ne vide sparire uno dall'oggi al domani, spesso senza poterli salutare e senza nemmeno uno straccio di funerale. È normale che in un dopoguerra non si voglia ridiscutere di guerra. Tra le lezioni imparate, peraltro, c'è che la più antica delle epidemie, l'idiozia, risale all'alba dei tempi, e che di vaccini, per ora, non se ne parla. Volando più alto, persino nei libri di Storia si nota che le pandemie sono citate di rado: anche quando fecero milioni di morti, dalla peste nera che colpì l'Europa nel Trecento all'influenza spagnola che a inizio Novecento ne ammazzò più di tutta la Seconda guerra mondiale. Ci soccorrono le scienze cognitive: l'oblio è una forma di autodifesa naturale dal dolore e dall'ansia, tanto che l'aspetto meno affidabile della memoria, secondo i neurologi, è proprio il ricordo delle emozioni.
Ma forse non servono le scienze cognitive (né troppo fatalismo) per ricordare soltanto che, in definitiva, ce l'abbiamo fatta, guardiano al futuro perché è il destino umano, il Covid è il passato, e siamo stati sfortunati ma anche molto fortunati a viverlo in Lombardia.
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