Querce da sughero Le foreste antiche che preservano i vini più pregiati

Nel Portogallo profondo, ignorato dal turismo, si producono i tappi migliori Un albero vive due secoli e ogni nove anni c'è il rito della decorticazione con l'ascia

Andrea Cuomo

nostro inviato a Coruche

Se uno chiude gli occhi in una foresta di querce da sughero e sente la melodia dei machados, le asce che con forza controllata si abbattono sulle cortecce degli alberi per spogliarli della loro legnosa veste, sente lo stesso rumore che si ascoltava secoli fa. E in fondo anche lo sguardo rimanda a un rito antico, a un balletto ritmico e silenzioso. Siamo nei pressi di Coruche, nell'Alentejo, il Portogallo che i turisti non visitano quasi mai. Terra di persone gentili, di mongolfiere, di piatti saporiti pieni di coriandolo. E delle foreste che si trovano duecento chilometri più a Sud di quelle di eucalipto andate a fuoco poche settimane fa. Queste non bruciano, perché il sughero non lo fa, e riforniscono il mondo della gran parte del sughero di cui ha bisogno. Tappi per bottiglie di vino buono (ché quello meno buono ormai spesso è tappato in altro modo), ma anche suole di scarpe, rivestimenti per pavimenti, isolanti acustici, un tempo perfino la copertura giallastra dei filtri delle sigarette, oggetti di ogni genere. Perché il sughero è un materiale antico e moderno, naturale, versatile, elastico, leggero, mediterraneo, colto.

E il Portogallo è il leader mondiale di questa meraviglia naturale trattata con la noncuranza che si riserva ai compagni di trascurabili glorie quotidiane. Produce una media annua di centomila tonnellate, più o meno la metà dell'intera produzione mondiale. Gli altri Paesi del sughero sono la Spagna, il Marocco, l'Algeria, la Tunisia, il Sud della Francia. È l'Italia, sì, che ne produce circa 6mila tonnellate all'anno, di altissima qualità certo, ma pochine davvero anche a causa dei continui foraggiamenti garantiti dallo Stato al distretto più importante, quello sardo di Calangianus, che ha disabituato le aziende italiche alla darwiniana lotta per la sopravvivenza commerciale che interessa anche questo settore così atavico. Così noi oggi le nostre bottiglie di Barolo e di Amarone lasciamo che a tapparcele siano gli eleganti cilindri di sughero che arrivano da questa foresta di Fidalgoes nei pressi di Coruche dove i decorticatori lavorano seri e liturgici davanti ai nostri occhi.

Gestire una foresta di querce da sughero, un montado come si dice qui, è un'operazione quasi algebrica. Le querce sono personcine presuntuose, che hanno l'ambiziose di sfidare i secoli. Durano in genere duecento anni. Motivo per cui la maturità è una cosa che arriva tardi. Dopo almeno venti anni di vita, quando l'albero ha raggiunto una circonferenza rispettabile, può avvenire la prima decorticazione, che è una specie di numero zero, di caffettiera fatta a vuoto: il sughero estratto non viene considerato degno di diventare tappo e viene utilizzato come materiale quasi di scarto. Da quel momento ci sarà una decorticazione ogni nove anni, il tempo perché la pancia della corteccia abbia uno spessore sufficiente per produrre tappi monopezzo. Per questo ogni quercia ha un numero bello grande dipinto sul suo corpaccione, che indica l'ultima lettera dell'anno della più recente spoliazione. In questo caso siamo circondati da querce che come tante robuste mezzali destre d'antan riportano sulla schiena il numero 8 e quindi, essendo state decorticate nel 2008, adesso tocca a loro.

La decorticazione è una pratica delicata, per questo gli addetti sono i Messi, anzi per restare in zona i Cristiano Ronaldo delle attività campestri. La loro paga è alta, ma del resto il lavoro si concentra nei mesi della tarda primavera e dell'inizio dell'estate, quando la stagione secca e calda rende più facile staccare la corteccia. I decorticatori praticano un taglio orizzontale a un'altezza di due volte rispetto alla circonferenza, poi un taglio verticale che consenta di togliere la corteccia se possibile in un unico blocco. Quando questo accade i decorticatori stessi si fotografano l'un l'altro con i cellulari (vabbè, questo non è molto old style) mentre «indossano» il grande elastico cilindro come in cappotto. Poi si riprende a lavorare seriamente, perché tutto questo lavoro di incisione e denudamento va fatto con attenzione amorevole per non danneggiare la «madre», la corteccia interna. Che se incisa muore.

La strada verso il tappo che toglierete stasera al collo della bottiglia che avete appena acquistato in enoteca è ancora lunga. I pezzi di corteccia vengono schiacciati, stoccati su dei camion come tegole arrotondate, stoccati in bancali di acciaio inox, poi bolliti, selezionati in funzione del possibile utilizzo (solo il sughero migliore diventa tappo ma il sughero è come il maiale, non se ne butta via niente), vaporizzati, analizzati, suddivisi nelle classi di merito in funzione dei possibili difetti (buchi, vermi, fessure, presenze di terra, flaccidità, macchie) quindi lavorati. Con macchine automatizzate ma ad alto fattore umano, che traggono dalla striscia di legno i cilindretti come delle cartucciere. Il resto finisce per lavorazioni minori, oppure a formare i granuli che saranno agglomerati per i tappi per lo Champagne, che hanno bisogno di un diametro maggiore dovendo resistere alla pressione dell'anidride carbonica e quindi sono composti come puzzle e tenuti da rondelle.

Ma le sugherete sono dei veri miracoli ambientali totalmente mediterranei. Sono templi di elevatissima biodiversità, habitat eterogenei dove vivono animali come la lince pardina iberica e l'aquila imperiale, dove proliferano funghi spesso prelibati. Svolgono come tutte le foreste una fondamentale funzione di conservazione del suolo e di regolazione idrogeologica. Hanno un ruolo di gigantesca importanza per l'assorbimento del carbonio, che mitiga le emissioni di biossido di carbonio di origine fossile e quindi riduce la concentrazione di gas serra e i suoi effetti lugubri sui cambiamenti climatici: un recente studio dell'Icos, un sistema di osservazione creato dall'Ue, ha verificato che una piccola sughereta vicino a Évora, la città più grande dell'Alentejo, ha trattenuto in un anno 3,2 tonnellate di CO2 per ettaro.

Ma la funzione più rilevante delle sugherete è l'importanza economica e

sociale che esse hanno per regioni che altrimenti si spopolerebbero e morirebbero. E già solo questo vale un brindisi. Stappate, prego. E date un po' di soddisfazione a quel cilindretto gommoso che tanta strada ha fatto.

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