Lampio, motivato e fragoroso discredito che circonda Romano Prodi e la sua squadra rilevabile fra i cittadini e le parti sociali, donne e uomini, giovani e anziani esige ormai che si ponga termine allinfelice esperienza di governo cominciata dopo il voto dellaprile scorso. È la stragrande maggioranza degli italiani che lo chiede, consapevole dei danni che questo esecutivo ha già fatto e che può ancora fare.
Sono gli interessi generali a suggerire di staccare la spina, ma anche un certo disgusto per la caricatura delle funzioni istituzionali che il governo è riuscito a realizzare fra marce di ministri, liti e inutili proclami che mascherano soltanto la sua impotenza.
Chi si incarica di mandare a casa il Professore? Nel giro di qualche mese, se si continua di questo passo, sarà qualche suo alleato a farlo, e senza nemmeno esigere i 30 denari, ma è giusto, fisiologico che lo faccia lopposizione. Al più presto, approfittando del passaggio stretto che il 27 marzo prossimo la maggioranza (che maggioranza non ha) dovrà superare in Senato al dibattito sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. Coi pacifisti e gli obiettori anti-amerikani che si ritrova in casa è molto improbabile che larmata Brancaleone conquisti la fatidica «quota 158». Ebbene, è necessario che lopposizione labbandoni al suo destino, rimuovendo così il macigno che rischia di schiacciare il Paese. Un atteggiamento bipartisan legittimerebbe larroganza dellUnione, che rifiuterebbe laureo principio espresso da DAlema secondo il quale «senza una maggioranza in politica estera si va tutti a casa».
Par di sentire già le obiezioni. Non possiamo rimangiarci limpegno assunto con gli alleati atlantici e con lOnu. Non possiamo abbandonare i nostri militari che meritano, sempre e comunque, rispetto e riconoscenza. Non possiamo abbandonare la lotta al terrorismo fondamentalista, pena la squalifica dellItalia sulla scena internazionale.
Tutti questi «non possiamo» non reggono a unanalisi critica, per il semplice fatto che nessun obiettivo ragionevole e apprezzabile (rispetto degli impegni, salvaguardia dei militari, contrasto dei talebani) potrà essere raggiunto se prima non sarà caduto Prodi, colpevole di avere introdotto nel Palazzo una sinistra radicale datata e anti-occidentale che lo ricatta. Come ha osservato Paolo Guzzanti, questo governo ha già sfregiato limmagine dellItalia e mette a rischio lincolumità dei nostri soldati. Autorevoli esperti hanno dimostrato che le ambigue e restrittive regole dingaggio, unite a strumenti militari inadeguati, mettono il nostro contingente in una condizione di minorata difesa. Le richieste di rinforzi e di armamenti più pesanti avanzate dal comando delle nostre truppe sono cadute nel vuoto. Il governo non intende prendere atto del peggioramento della situazione sul teatro doperazioni afgano e, per non alienarsi altri consensi nella sinistra radicale, mantiene il contingente in un ruolo di incerta polizia militare nelle retrovie, rendendone difficile e poco credibile lo stesso ricorso allautodifesa. Ed è probabile che, se i nostri soldati non vanno alla guerra, sia la guerra ad andare dai nostri soldati.
Per uscire dallimpasse il governo Prodi deve cadere. Subito dopo, con lo strumento istituzionale più idoneo (larghe intese, salute pubblica, unità nazionale: lo si chiami come si vuole) si rimarginerà la ferita provocata dalla questione afgana e si metterà mano alla riforma elettorale. Per andare a votare al più presto. Nei manuali militari non cè scritto, ma lefficacia della lotta al terrorismo islamico passa per la «quota 158».
Certo, tutto questo richiede unità dintenti nel centrodestra.
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