Ogni tanto la percentuale di musica italiana da trasmettere in radio diventa oggetto di dibattito politico. In Italia, ma non solo. Tutto nasce dalla ormai celebre Legge Toubon che in Francia dal 1994 impone in rotazione una percentuale di brani francesi compresa tra il 35 e il 60% a seconda dei casi.
Qui in Italia se ne era parlato nel 2019 al momento della proposta di legge del leghista Alessandro Morelli, ex direttore di Radio Padania. L'obiettivo era di arrivare almeno a una canzone italiana su tre in radio. Poi tutto è finito lì. Pochi giorni fa Morgan, parlando a Libero, ha chiesto «una riforma perché le radio trasmettano un quantitativo di musica italiana pari a quella straniera, com'è in Francia». Quindi, come si legge sull'autorevole Fm-world.it, «una quantità che, di fatto, equivarrebbe al 50 per cento». L'opposizione grida al «sovranismo» anche nel pop nonostante questo tipo di disposizioni sia presenti in Portogallo o Slovacchia ben prima che si parlasse di sovranismo. Parole al vento.
Intanto, senza praticamente aiuto, la musica è riuscita a «autosovranizzarsi» perché la percentuale di brani italiani in radio è passata dal 35,70% del 2020 al 39,40% del 2022 (fonte EarOne). Quasi 5 punti in più in soli due anni. Quindi la percentuale già adesso non è molto distante da quella voluta da Morgan (e vicina a quella fissata in Francia).
Ma c'è di più. Visto che nella Top10 i brani italiani sono quasi sempre molto superiori a quelli stranieri, in prospettiva la «supremazia» del nostro pop è destinata a crescere nelle playlist anche senza una legge Toubon all'italiana.
In ogni caso, generalizzare è un errore.
La radio è un mezzo «a target» e imporre regole generali (il 50 per cento dei brani italiani per tutte) snaturerebbe la linea editoriale di tante emittenti, danneggerebbe la raccolta pubblicitaria di molte, frastornerebbe gli ascoltatori di quasi tutte e, soprattutto, non servirebbe allo scopo per nessuno.
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