D'altronde, era un abisso di contraddizioni, M. de Guercy. Sin dalle prime parole che udii da lui vidi che la sua grande pretesa, il suo gusto esclusivo era per tutto quel che è maschio, virile, energico. Affrontava enormi camminate e al ritorno, tutto sudato, faceva un bagno freddo. Parlava soltanto di esercizi, percorreva la Francia a piedi, dormiva nelle fattorie ecc. Aveva sempre l'aria di trovare tutti gli uomini effeminati e concionava contro di loro con astiosa vivacità. Quando diceva di un uomo: «È una vera donna», si sentiva che non avrebbe potuto dire niente di più grave; per chi si era aspettato di trovare un carattere leale e virile, era come se lo avessero ingannato sulla qualità della merce. Ma allo stesso tempo aveva spesso delle delicatezze di sentimento, di espressione che gli uomini non hanno quasi mai. Dato quel che sapevo delle sue idee sulla virilità, mi era dispiaciuto che Montargis parlasse davanti a lui delle tristezze che provavo la sera, prima di addormentarmi. E l'indomani, mentre mi preparavo a salire in camera mia, vidi venire verso di me M. de Guercy che mi disse, tendendomi un pacchettino: «Tenete, visto che vi piace quel che fa il pittore Z., ecco un piccolo album di incisioni dalle sue opere, le guarderete prima di addormentarvi per non essere triste». Ero estremamente commosso perché mai un uomo della sua età mi aveva dedicato un po' di attenzione; credo che se avessi osato l'avrei baciato, ma i brutti baffi tinti gli davano un'aria troppo bizzarra che intimidiva. E l'indomani, quando volli rendergli l'album, mi pregò di tenerlo in ricordo del piacere che gli aveva fatto conoscermi, come se a un uomo della sua età e della sua importanza potesse far piacere conoscere un ragazzetto come me. Ma lo disse senza ironia, con una di quelle inflessioni delicate che smentivano la sua pretesa estrema di virilità senza aver l'aria di dar valore a quel dono, deprezzandolo piuttosto. Un incanto. Così, quando si lasciava andare a conversare un po' a lungo si restava stupiti di trovarlo molto diverso da quel che pretendeva di essere. Non avrei osato dirgli che era effeminato, perché era la cosa che odiava di più, che odiava sino alla rabbia, ma, davanti a qualche sua espressione commovente, pareva di udire nella sua voce tutto un coro di sorelle delicate, di madri appassionate che effondevano la loro tenerezza. A volte addirittura, ed era meno gradevole, quando c'era nella conversazione un po' di cattiveria, che in lui era sempre molto spiritosa, pareva di udire, dal fondo della sua gola, una leziosa Célimène che prendeva di mira il prossimo con certe frecciate che conferivano alla sua voce toni acuti e penetranti. Ma era soprattutto la sua risata ad essere una risata davvero civettuola, così acre che a volte ascoltandola ci si scambiava uno sguardo. Anche le sue mani, molto belle, vere mani da donna, avevano movimenti leziosi, erano nervose, impazienti. Prendevano un giornale e se ne facevano un ventaglio, prendevano un fiore e lo mettevano all'occhiello, ma non senza che lui l'avesse prima odorato a lungo, con aria sognante. E la sua risata era particolarmente irritante perché ogni tanto sfuggiva bruscamente, senza motivo, a quell'uomo serio e triste, con un'allegria da pazzerella, con l'esaltazione e la voluttà di una ragazza che scappa dal collegio. Aveva poi mille talenti: nessuno si intendeva quanto lui di abiti femminili, e suonava il piano, senza averlo mai studiato, come una ragazza che fa dieci ore di esercizi al giorno.
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Bisogna dire che se era parecchio sgradevole con gli uomini, era adorabile con le donne. Lui che parlava tanto male degli uomini, soprattutto di quelli che «erano vere donne», non parlava mai male delle donne e per quel che le riguardava vedeva tutto rosa. Quando si parlava di un giovane, diceva: «È una canaglietta, una piccola peste, un ragazzo da non frequentare». Parlava dei giovanotti con una sorta di odio, con quella violenza con cui certi uomini che hanno sofferto per amore parlano delle donne, tutte perfide ai loro occhi. Con le donne invece era adorabile, si occupava soltanto di loro, le consigliava fin sui più minuti dettagli del loro abbigliamento. Non posso dire che non fosse gentilissimo con me, ma se c'era una donna, fosse anche la nonna, io non esistevo più. Eppure, avevo l'impressione che avesse forse meno simpatia per la nonna che per me.
L'indomani partì e, salutandoci, mi disse qualche frase gentile sulla vita che combina male le cose, avvicinando le persone soltanto per separarle. Le sue parole mi lusingarono estremamente perché parevano rivolgersi a me come se avessi potuto ispirare della simpatia e dei rimpianti a un uomo dell'età e del valore di M. de Guercy.
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