di Isabella Calogero
Cambiano le stagioni, cambiano i nomi dei vincitori, ma dopo settantasei anni di Masters la storia resta immutabilmente fedele a se stessa: nella roulette della domenica georgiana è sempre e solo l'Augusta National che decide chi è degno di indossare la giacca verde.
Caso unico al mondo, questo percorso figlio del demonio, per chi non lo interpreta appieno, è qualcosa da cui prendere ordini; per tutti gli altri - pochi, anzi pochissimi per la verità - è qualcosa che si inventa colpo dopo colpo. Ed è a questa sparuta pattuglia di funamboli del green a cui si può togliere tutto ma non la speranza nel colpo successivo. Ecco: a tutti gli altri, ai meschini che si lasciano dominare dal campo e dalle sue pendenze, l'Augusta National questa speranza la estirpa sul nascere. Non a Bubba Watson, il ragazzo che gioca a golf come nessun altro; l'american boy che ha fatto dell'immaginazione, della fantasia e dell'ottimismo i voluminizzanti del suo gioco.
Sorprendentemente l'Augusta National ha lasciato che il mancino americano indossasse la sua prima giacca verde e lo ha permesso perché ha intravisto qualcosa di speciale nei suoi colpi: vi ha scorto la leggerezza della mano di un pittore che sa tradurre in aria le traiettorie del suo pennello. L'Augusta non rispetta gli swing sgraziati di un Matt Kuchar; non ama le mani pesanti di un Peter Hanson; non perdona le debolezze di un Lee Westwood o la presunzione di un Rory McIlroy. L'Augusta ammira il genio e la follia; premia i campioni che vivono (e giocano) in un mondo diverso da quello degli altri. Circolo snobbissimo e campo elitario, certamente, come è nel suo Dna non perdona mai la mancanza di stile. E non vi è dubbio alcuno che questo stesso stile esista nel golf solo apparentemente strampalato di Bubba Watson. Se è vero che la vita (e la carriera di un professionista) è troppo corta per passare inosservati, allora il mancino americano ha saputo renderla immortale: come il protagonista del Tin Cup di cinematografica memoria, Bubba sa vedere (e fare) cose golfistiche che noi comuni mortali non possiamo neppure immaginare. Moderno menestrello alla corte dell'Augusta National, ne ha deliziato il palato fine con inventiva, l'ha sorpreso con lucida follia e, infine, l'ha incantato con l'ottimismo che solo un campione che gioca con un drive tutto rosa può emanare. Naturale che il campo georgiano lo eleggesse a suo paladino. Perché Bubba Watson ha ricordato al mondo che esistono mille maniere diverse di giocare a golf e che sono tutte valide e bellissime. L'importante è farlo sempre con quello che si ha e non con quello che si vorrebbe avere.
Morale: in una società in cui si sono perse le certezze e in cui l'undicesimo comandamento è la flessibilità, nell'immutabile tempio georgiano, il golf di Bubba col suo swing precario e senza risultato garantito, è lo specchio perfetto dei tempi moderni. Mira, tira e accetta il risultato, qualunque esso sia, sul green come nella vita: quale migliore lezione poteva dunque regalarci l'Augusta National?
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