BIANCO LUTTO. È un coro di malinconia e magone quello che sale piano da quelle camere ardenti del tifo che sono spesso i blog. Non è ancora svanita la gioia immensa per il Mondiale conquistato che in Spagna - e non solo nella capitale - compare un velo di tristezza. È quel groppo in gola che conosce bene solo chi è tifoso di calcio. Quella commozione che ti prende quando il migliore dei tuoi, l'anima della tua squadra, l'uomo che per anni hai visto correre davanti a te allo stadio, non corre più. E questa stretta al cuore oggi è comune a tutti i tifosi del Real Madrid, che dopo 16 anni di gol e trofei dicono arrivederci a Raul.
ULTIMA PAGINA. Se ne parlava da mesi, ma l'ufficialità ha l'impatto emotivo di un divorzio dopo mesi di crisi. Mourinho lo aveva avvertito. Lui ha i suoi uomini, le sue idee e soprattutto il suo ego. Di spazio per un ragazzo perbene che possa «rubargli» l'amore del pubblico, non ce n'è. E allora El Gran Capitàn, l'uomo dei record delle Merengues, da lunedì sarà a Gelsenkirchen, dove comincerà - a 33 anni - la sua nuova avventura nello Schalke 04 dell'amico ed ex compagno Metzelder. Un club discreto senza mai essere stato né storico, né mitico, né protagonista. Un descanso dalla gloria, il buen retiro dai palcoscenici maggiori. Raul lascia la Casa Blanca, la sua casa fin dalle giovanili, da quando cioè - per guai finanziari - il presidente dei «cugini» dell'Atletico decise di chiudere la cantera. Raul, che era un mostruoso cannoniere in miniatura, finì nella cantera del Real e da lì iniziò quella che è stata una delle carriere calcisticamente più luminose del Novecento pallonaro. Una carriera che - a giudicare dai messaggi sinceramente struggenti di tifosi madridisti e non - forse avrebbe meritato di finire sulla ribalta del Santiago Bernabeu.
UNA MACCHINA DA RECORD. Invece no, Raul continuerà a baciare quel suo anello dopo ogni gol alla Veltins Arena. Pazienza, la riconoscenza - nel mondo glaciale e luccicante di Florentino Perez e dei Galacticos di Cristiano Ronaldo -, non ha spazio. E così il capitano chiude qui. Ed è come chiudere un libro di storia: record di presenze (741) e gol (323) con il Real Madrid, miglior marcatore di sempre - insieme a Pippo Inzaghi - nelle competizioni europee (68 gol), miglior cannoniere della Champions League (66), capitano più giovane nella storia dei Blancos. Tre volte campione d'Europa, primo giocatore a segnare in due finali, sei volte campione di Spagna, due volte vincitore dell'Intercontinentale. Un gigante degli anni Novanta e Duemila, una macchina da numeri e trofei, forse il più longevo, completo, decisivo e costante attaccante degli ultimi quindici anni. Tutto questo nella più gloriosa squadra del mondo. Forse un monumento non meritava di essere esportato in Westfalia come una Seat usata.
COME MALDINI. Eppure Raul non ha raccolto quanto meritava in carriera. Ha vinto quasi tutto, certo. Ma mai un Pallone d'Oro, nonostante l'abbiano vinto giocatori che in carriera hanno centrato al massimo due, tre stagioni di livello. Raul no, come Paolo Maldini. E sono tanti i parallelismi che lo legano al capitano del Milan. Umanamente, entrambi irreprensibili, un concentrato di carisma, stile ed eleganza; due uomini veri, silenziosi, posati senza essere proni a nulla. Primi ad arrivare a Milanello e Valdebebas, ultimi ad andarsene quando tutti - giovani e stelle - erano già col sedere sulla Porsche. Ma anche nei trionfi e nella sfortuna Maldini e Raul sono stati vicini. Hanno alzato ogni coppa possibile, ma in Nazionale hanno masticato solo amarezze. Maldini ha lasciato senza vittorie. Raul è il miglior cannoniere della storia della Roja ma - curiosamente -, da quando è stato tagliato da Aragones, la Spagna ha vinto Europei e Mondiali. Congiunzioni astrali, contrappasso di una carriera perfetta nei club? Forse solo il destino che dà e toglie, per fare equilibrismi ingiusti. E così capita che Juan Mata sia campione del Mondo con 7 presenze tra le Furie Rosse, mentre Raul non si è goduto la gloria che si sarebbe meritato.
UN ATTACCANTE D'ALTRI TEMPI. Tecnicamente, Raul è stata la dimostrazione di come si possa scardinare il calcio moderno fatto di energumeni atletici solo con la tecnica e l'intelligenza. Brevilineo, scarsino di testa, non particolarmente funambolico e guizzante, Raul è stato semplicemente un giocatore perfetto. Mancino naturale, non ha mai ostentato numeri da acrobata fini a se stesse, né ha mai messo l'effervescenza delle giocate sul suo biglietto da visita. Né veroniche, né tunnel, né doppi passi. Raul è stato un calciatore in grado di creare spettacolo, non uno showman tangenzialmente finito su un campo di pallone. Mostruoso nel controllo di palla, letale nella velocità di esecuzione, preciso come una balestra nell'area e lucidissimo sottoporta, è la congiunzione di Del Piero e Inzaghi: tecnico a livelli sopraffini come il primo, cinico e velenoso come il secondo. Ha segnato ovunque, Raul. Il suo numero 7 non è mai arrivato in ritardo ad un appuntamento importante. Gol in finale di Champions col Valencia, gol col Bayer Leverkusen; gol a Manchester dopo un miracolo di Redondo che consegnò alla storia quell'azione artistica, gol a Tokyo contro il Vasco da Gama con doppio dribbling in area allo scadere. Ha zittito il Barcellona ed è stato il suo unico gesto vagamente polemico in 16 anni vissuti senza mai un'espulsione. Gentile fuori campo, mai fuori posto, è il figlio perfetto di Del Bosque, il ct spagnolo che vinse con i Galacticos ma sventolando la bandiera così poco stellare del basso profilo. Per tutto questo, per la sua signorilità e per il suo incarnare quel «madridismo puro» che fa tornare alla mente la maglia candida di Puskas, Gento e Di Stefano, Raul mancherà. Mancherà agli Ultras Sur del Bernabeu ma anche a chi ama il calcio e i sentimenti, da Bilbao a La Coruña passando per Saragozza, Siviglia e - perché no - Barcellona.
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