La Regione Lunezia più forte di una storia con troppi «no»

La Regione Lunezia più forte di una storia con troppi «no»

Fortissimamente Lunezia e la «presunzione» di una Regione etica. Nessuna utopia catartica o mitologia spicciola, ma il progetto di «coniugare in un territorio-regione autosufficiente in senso federalista, le categorie kantiane di etica ed estetica». Nicla Ghironi, scrittrice e socio fondatore dell'Associazione Culturale «Regione Lunezia», inquadra subito l'approccio ad una questione secolare che viaggia tra colpi d'identità, ipotesi economiche e ribaltamento di un sistema. Quella della Lunezia da farsi: un confine ridisegnato che terrà dentro i Comuni delle Province della Spezia, Massa-Carrara, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Modena, parte di Cremona e quella Garfagnana di Lucca. Un'identità viva nelle coscienze, un retaggio che arriva dalla preistoria, con i Liguri-Apuani che hanno lasciato tracce profonde nonostante i romani li deportassero in massa nel 180 a.C., poco prima della deduzione della colonia di Luni. Restano le statue-stele e la questione mai sfumata dell'unione delle Terre di Lunezia, che si impose con forza nel 1814, l'anno del trattato di Fontainebleau che sancì il passaggio a Maria Luigia, moglie di Napoleone Bonaparte, del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. E proprio in questa sede gli statisti pensarono ad unire Parma e Piacenza con la Val di Magra e La Spezia, naturale sbocco al mare del Parmense. Ma Talleyrand si oppose: la vicinanza della Spezia all'Isola d'Elba, dove era detenuto Napoleone, poteva indurre Maria Luigia a liberarlo. Niente di fatto. Ma il rigurgito torna nel Risorgimento: nel 1861 Pontremoli tentò di farsi annettere a Parma e nel 1871 La Spezia propose di unirsi a Massa Carrara. Ipotesi di liasons da ricucire che corrono in lungo e in largo per tutto il Novecento, tant'è che, finita la Seconda Guerra Mondiale, venne proposta una regione comprendente Piacenza, Reggio Emilia, Parma, Modena, La Spezia e la val di Magra. Va buca. Di nuovo spiriti mai sopiti e urgenze distillate un anno via l'altro, fino al 1989 e al primo incontro del Comitato promotore per la costituzione della regione Emiliano-Lunense. Lei, naturalmente. Battaglie che si concretizzano nel 2007 a Pontremoli con la trasformazione del Comitato in Associazione culturale «Regione Lunezia», presidente Valter Bay e tra i soci il professor Giuseppe Benelli. Lo scopo? Ovvio: ricreare Lunezia! «È un Progetto che attraverso l'originalità delle proposte culturali e amministrative - insiste Nicla - darà nuovo slancio a quel brano di territorio smembrato storicamente da ottusità e avidità di ogni tipo». A fine settembre quelli dell'Associazione ne hanno riparlato al Circolo del Tennis di Lerici: lo zoom è sul lavoro di ricostruzione storica e riorganizzazione amministrativa presentato dalle Commissioni di studio.
«Abbiamo discusso dei confini territoriali di una regione diversa - spiega Ghironi - e non di una regione in più. Si è parlato di Lunezia come di una regione europea, che non avrà una capitale, ma ogni luogo avrà il suo risalto e i suoi ruoli». Attenzione massima a Lombardia, Emilia Romagna, Liguria e Toscana, «che si evolveranno in termini di autosufficienza scambievole. Perché il Progetto luneziano presuppone il ripensamento istituzionale, costituzionale e culturale del Paese Italia». Hanno parlato di montagna e infrastrutture stradali e ferroviarie: corridoio Tirreno-Brennero, portualità, ricerca e formazione superiore. E di sistema ambientale, Istituzioni Culturali e sistema turistico. E ancora di strade e percorsi agro-alimentari, della ferrovia del marmo con la riattivazione e restauro della Carrara-Cave di Colonnata; del recupero e della valorizzazione delle strutture militari abbandonate e «ci siamo proposti di editare una rivista di architettura come osservatorio sul fare architettura e paesaggio e sulle politiche urbanistiche». Una visione dilatata e modellata su quelle terre insieme non per caso: «Vogliamo riunire queste genti, divise incongruamente in regioni diverse, nel senso dell'interscambio dolce: se non conosco chi sono non vado da nessuna parte - insiste Nicla -. E proprio sulla base di un tale prodotto altamente identitario si sviluppa una potenzialità di crescita economica impensabile. Federalismo dunque, ma non solo in termini fiscali». Tra poesia e fattibilità, l'analisi lucida del presidente Bay, già fondatore della Lega con Umberto Bossi, da cui ha preso le distanze perché «ha deviato dal corso del federalismo. Mentre io continuo a parlare con le parole di Miglio».
Determinato, schizza lo scenario: «Per lo stato generale del sistema sociale come stile di vita - spiega Bay - bisogna fare qualcosa che i politici non stanno facendo: occorre adeguare la realtà alla consistenza sociale delle risorse. L'art. 132 della Costituzione consente la creazione di nuove regioni, ma con clausole capestro; quindi partiamo dal basso perché la gente sia motivata a riprendersi il suo territorio». Come? Facendo cultura capillarmente, «nei bar, al supermercato. È il passaparola per creare proselitismo.

Un processo lento, è vero, ma stiamo creando i capisaldi culturali di quanto realizzeranno quelli dopo di noi». Si definiscono «idealisti profeti» e vogliono «rifare i contratti di lavoro pensando che i sindacati hanno sbagliato». Nel nome «di cultura, rivoluzione e federalismo», perché Lunezia sia.

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