Il ricco "traditore di classe" che vuole più libertà per tutti

Sotto vari punti di vista, per giunta, Musk va considerato un traditore di classe: ancor più di quanto non lo sia Trump stesso. Non c'è dubbio che il tycoon sudafricano abbia moltissimi soldi e li abbia fatti entro un quadro istituzionale che vede costantemente intrecciarsi economia e politica

Il ricco "traditore di classe" che vuole più libertà per tutti

Elon Musk è un personaggio destinato a suscitare più di una legittima perplessità. Basti dire che il magnate statunitense di origini sudafricane ha costruito il suo impero finanziario sulla Tesla (azienda leader nelle auto elettriche) e anche su altre attività (SolarCity, che si occupa di fotovoltaico) che ci sono state presentate come strumenti cruciali per combattere il riscaldamento globale, in ossequio ai dogmi dell'ecologismo imperante. Le radici del suo successo, quindi, sono proprio in quanto ora egli dichiara di combattere. Oltre a ciò, alcune sue iniziative imprenditoriali (si pensi a Neuralink) sconfinano nel transumanesimo e per tale motivo mostrano qualche aspetto inquietante.

Non bastasse questo, la vita privata di questo capitalista di successo è a dir poco tumultuosa, mentre l'eccentricità del personaggio emerge pure dai nomi scelti per alcuni dei suoi dodici figli: uno dei quali si chiama X Æ A-12 e un altro Exa Dark Sideræl. Quest'ultimo, tra l'altro, è venuto al mondo grazie a una maternità surrogata. La passione per la tecnologia, insomma, finisce per sconfinare in territori misteriosi e poco ospitali.

Eppure oggi Musk rappresenta un fattore di novità e un elemento di disturbo per i veri padroni del vapore, oltre che un segno di trasformazioni in atto potenzialmente assai positive.

Per evidenziare questi aspetti si deve partire da un dato: il suo impegno per la libertà di espressione. In effetti, quando ha comprato Twitter e l'ha ribattezzata X, Musk ha immediatamente dichiarato di voler combattere ogni censura. Forse non è del tutto vero che nel social sia venuta meno qualsiasi moderazione (anche perché il contesto regolamentare impone obblighi stringenti a chi gestisce tali network), ma certo sono decisamente lontani i tempi in cui avevamo funzionari della Cia e della Fbi che entravano settimanalmente negli uffici di Twitter per definire lungo quali direttive dovesse essere orientato il dibattito pubblico. Soprattutto, con il passaggio a X è inimmaginabile che il maggiore esponente dell'opposizione politica si veda chiuso l'account (come accadde a Donald Trump), così da non poter far sentire la sua voce. Musk stesso è diventato uno dei protagonisti più attivi della piattaforma, con dichiarazioni controcorrente che hanno ulteriormente legittimato chiunque a dire come la pensa. La battaglia contro i bigotti del politicamente corretto e delle nuove censure, insomma, ha nell'inventore di Tesla uno dei suoi protagonisti.

La scelta di difendere in modo quanto mai rigoroso la libertà di parola, in linea con il primo emendamento della Costituzione americana, è il dato che in maniera più aperta segnala un cambiamento cruciale nelle sue posizioni politiche. A dispetto delle origini, tra ambientalismo californiano e progressismo à la page, da qualche tempo Musk è uno degli alfieri della ribellione popolare dell'America profonda che ha riportato Trump alla Casa Bianca: una svolta di cui molti faticano a cogliere l'importanza e la portata.

Sotto vari punti di vista, per giunta, Musk va considerato un traditore di classe: ancor più di quanto non lo sia Trump stesso. Non c'è dubbio che il tycoon sudafricano abbia moltissimi soldi e li abbia fatti entro un quadro istituzionale che vede costantemente intrecciarsi economia e politica. Per anni ha incarnato il capitalismo arcobaleno e il suo tipico intreccio tra moralismo, affari, amicizie altolocate e regolazione pubblica. È stato uno dei campioni del potere che adesso combatte, ma ora ha scelto di difendere i valori di quell'America che sa perfettamente quanto le proprie classi dirigenti (finanziarie, culturali, politiche) siano corrotte, elitarie, nemiche della libertà.

Non è certo un caso che il suo prendere le distanze dal luogocomunismo dominante abbia avuto inizio nel 2020, quando pure negli Stati Uniti si sono adottate politiche cinesi, con l'introduzione del lockdown. Pur riconoscendo a ognuno il pieno diritto di rimanere chiuso in casa se lo riteneva opportuno, egli condannò come profondamente illiberale la decisione di confinare tutti nelle loro abitazioni e arrestare i dissenzienti. Dopo aver gridato «ridate alle persone la loro dannata libertà», nel maggio di quell'anno egli riaprì i battenti della Tesla in violazione dell'ordinanza della contea e cominciò a sfidare l'autoritarismo sanitario.

Non è neppure da trascurare che nelle foto di questi giorni che ritraggono Trump e le figure a lui più vicine compaia spesso, accanto a Musk, anche Robert P. Kennedy jr, il figlio di Bob (che fu ucciso nel 1968) e il protagonista di un altro tradimento. Nominato da Trump alla testa del dipartimento della Sanità, da tempo Kennedy denuncia l'ipocrisia del partito democratico e la nefasta alleanza che lega tra loro l'establishment politico e le maggiori imprese industriali e finanziarie, e non solo nel settore della farmaceutica.

In modo differente ma per tanti aspetti convergente, Kennedy e Musk hanno puntato forte sul ritorno di Trump perché hanno compreso che si trattava della sola possibilità di difendere le ragioni del cittadino comune di fronte al consolidarsi di un dominio che, muovendo dalla politica, era riuscito a catturare tutti i vertici dei media, dell'economia e della cultura.

Alla luce di ciò, anche la passione di Musk per lo spazio manifesta tratti propriamente americani, che affondano nelle radici libertarie di quella società. Perché in un certo senso l'America ha sempre bisogno di una frontiera: di uno spazio vergine verso il quale l'individuo possa dirigersi e giocare le sue carte. Elaborare innovativi mezzi di trasporto e spingersi addirittura a colonizzare lo spazio (immaginando forme abitative futuribili su Marte) rientra in questa prospettiva, che porta a relativizzare gli stessi Stati sovrani e che finisce per confinare in un angolo quanti partecipano alle decisioni governative.

Nella medesima direzione è l'adesione alle criptovalute, dato che s'accompagna a una contestazione del dollaro e - più in generale - del potere monopolistico e arbitrario delle banche centrali. Sulla questione Musk non ha una posizione rigorosa e coerente. Da un lato ha mostrato favore per il bitcoin, al punto che nel marzo del 2021 ha destinato 1,5 miliardi di dollari all'acquisto di questa valuta. La cosa non è priva di significato, poiché bitcoin è una moneta intimamente libertaria e anti-inflazionistica, che si basa su una scarsità strutturale e non prevede un board che possa manovrarla. Nell'universo di bitcoin, insomma, non c'è spazio per un Mario Draghi. Al contempo, però, egli s'è riferito pure a Dogecoin, che invece è una moneta a fornitura illimitata e inflazionistica.

Nel miliardario americano, è chiaro, non possiamo trovare quella coerenza che manca. Non è un dottrinario e neppure un uomo politico della caratura di Ron Paul.

Ugualmente in lui troviamo il protagonista di un rovesciamento di prospettiva che in America segnala una tendenza generale: il netto rigetto di quella woke culture che coniuga la peggiore socialdemocrazia con l'autoritarismo liberal di chi ci vorrebbe tutti relativisti e intolleranti, avversi alla tradizione cristiana e occidentale, sempre dalla parte dell'ambiente e contro gli esseri umani.

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