Eccola che torna sulla scena dell’Europa. Inconfondibili le sue grandi orecchie, intatta la suggestione che la scorta in giro per gli stadi. Sembra giunta al momento giusto per suonare la sveglia tra le grandi sorelle del vecchio continente sbarcate agli ottavi di finale, in onda da stasera fino a metà marzo, e far dimenticare così gli affanni traditi nei rispettivi campionati. Basta volgere lo sguardo verso la meraviglia assoluta del calcio mondiale, il Barcellona, per cogliere il senso dell’inverno rigidissimo. L’armata di Guardiola arranca pericolosamente alle spalle del Real, unica a viaggiare col vento nelle vele. Stesso destino per il Bayern oscurato in patria dal Borussia capolista oppure per il Marsiglia che si ritrova nelle retrovie della Ligue 1, messo in disparte dal primato del PSG appena affidato alle competenti cure di Carlettò Ancelotti. Identico lo scenario in Inghilterra dove il City, al comando della Premier, è insieme con l’United uscito dalla competizione più prestigiosa e retrocesso in Europe league per non parlare dell’Italia dove Inter e Napoli non se la passano bene, sono anzi in grave ritardo e lo stesso Milan non è che brilli se non per quel prodigioso recupero in rimonta a Udine.
A proposito di Milan. Dopo il Barça è il primo dei nostri a riascoltare la musichetta, costretto a imbattersi in vecchi e pericolosi fantasmi. Gli inglesi sono infatti la sua più recente maledizione: è dal 2008, stagione successiva al trionfo di Atene e alle lezione impartita al Manchester United, che il club berlusconiano viene puntualmente eliminato da un club di sua maestà. Cominciò proprio l’Arsenal di Wenger, protagonisti assoluti Fabregas e Adebayor, a inaugurare la lunga striscia delle sconfitte poi completata dal Manchester (7 schiaffoni in 180 minuti ai tempi di Leonardo in panchina) e infine l’anno passato dal Tottenham (contropiede velenoso di Crouch a San Siro a pochi minuti dalla sirena). Tre delusioni quasi consecutive (nell’intervallo fu sbattuto fuori dai tedeschi del Werder Brema in Europa league), troppe per la carriera del club più titolato al mondo che può contare su 7 Champions vinte. É diventato un autentico tabù.
Sia un anno fa che in questi giorni, il Milan puntò quasi tutte le sue fiches sul talento di Zlatan Ibrahimovic senza ricavarne il minimo tributo. Allora il popolare Gulliver passò quasi inosservato: neanche un sigillo nei 180 minuti contro gli inglesi. Questa volta, reduce dal riposo forzato in campionato (leggere squalifica) è atteso da responsabilità più consistenti senza provocare nel suo stato d’animo una particolare tensione. La confessione è pubblica e solenne, affidata al magazine ufficiale dell’Uefa: «Molti anni fa la Champions era il mio obiettivo da conquistare e basta. Ma se la ingigantisci o la rendi troppo importante, finisce che non la vincerai mai. Ora punto a tutto: se vinco bene, se non vinco, non vinco. E ciò non sminuisce la mia carriera. Se mi ritirassi ora, sarei molto soddisfatto, ho fatto tutto quello che ho potuto». Al pistolotto, apparecchiato per raccontare dell’altro tabù personale (andò dall’Inter al Barcellona nell’anno in cui gli spagnoli rimasero a secco e vinsero gli interisti), ha fatto seguito l’unica frase che sarebbe piaciuta a Sacchi: «Non si vince perchè si è numeri uno ma perchè giochi nella squadra numero uno».
Ibrahimovic non ha più l’ossessione della Champions proprio mentre stanno per tornare un po’ di rinforzi dal clan degli infortunati: Abbiati, Nesta e Boateng sono i primi della lista ad aver confermato la propria partecipazione alla sfida di mercoledì sera. Gli altri, Pato e Flamini, al massimo possono essere reclutati per l’elenco dei convocati che non hanno più bisogno dei primavera per raggiungere la quota minima.
A dar seguito all’incoraggiamento dei giorni scorsi, a Milanello, ieri visita a sorpresa di Barbara Berlusconi, rimasta poco più di un’ora a parlare con la squadra al completo e poi con l’allenatore. Per la serie: chi ci crede può diventare anche re.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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