Rifiuti, la cura Prodi è un flop

Ci sono 6mila tonnellate nelle strade. Napoli assomiglia sempre più a una trincea scavata nel pattume. E il Comune chiude il centro solo per rinnovare l’arredo urbano

Rifiuti, la cura Prodi è un flop

Napoli - Piove. «Piove e mo' pure puzza, governo ladro!», si sfoga il tassista, girandosi all'indietro e guardandomi negli occhi. Ha aggiornato a modo suo, in omaggio all'immondizia dilagante - che qui, da una strada all'altra assume di volta in volta forma di spartitraffico, guardarail o edicola votiva - la più scontata delle imprecazioni contro il Palazzo. Tremo, fissando il bus a due piani che sembra puntarci. Ma lui niente. Sempre rivolto al passeggero impreca nel tentativo di sottrarre l'auto alla morsa vischiosa di un traffico senza uguali: vetture, furgoni e sciami di ciclomotoristi privi di casco che si sfiorano miracolosamente, convincendo anche il più irriducibile degli agnostici che il patrono Gennaro è per davvero un Santo. Di più: è vivo e per fortuna lotta insieme a noi.
Avanza di un metro, l'autista. Si riferma e impreca ancora. Via Girolamo Santacroce, una delle due principali arterie che salgono al Vomero - spiega - «sta chiusa per interventi… come si dice dotto'? All’arredo urbano. Così adesso tutti di qui dobbiamo passare». Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Perché alla faccia dei commissari straordinari e dei militari del Genio (costretti soltanto a spostare i rifiuti, perché poi non saprebbero dove metterli), in questa città bellissima, ma sgarrupata e fuori controllo, giacciono ancora inviolate e puteolenti quasi 6.000 tonnellate di spazzatura. E se ne aggiungono altre 1.400 al giorno, formando muraglioni compatti e sempre più alti.
Semplici gocce nel mare sono risultati i quantitativi partiti via nave verso Sardegna e Sicilia. Aumentano per fortuna da 17 a 25 alla settimana i treni diretti in Germania - qui li riempirebbero più volentieri di pubblici amministratori - che potranno portare oltre confine 17.500 tonnellate. Ma l'assedio continua in tutti i quartieri, tra scuole ancora chiuse, aria irrespirabile e proliferazione di ratti, per assumere poi drammaticità da autentiche «Stalingrado» partenopee in zone come Barra-Ponticelli-San Giovanni a Teduccio o ancora San Lorenzo-Poggioreale-Zona industriale.
Eppure in Comune, come si è visto, c'è chi chiude le strade per preoccuparsi dell'arredo urbano. Si potrebbe racchiudere in fondo tutta qui, nell'assurdità di questo paradosso, l'ormai incontrollata traiettoria del Pianeta Napoli. I cui abitanti, pur senza saper rinunciare al gusto dello sberleffo, come i manifesti in cui Bassolino diventa il «compagno munnezza», alla fine ti confessano di cominciare ad avere per davvero paura. E a tremare di più è soprattutto la povera gente, la più debole, quella che tira l'esistenza con i denti. Non trema tanto per l'emergenza dell'oggi - qualcosa a cui in fondo è rassegnata da sempre - quanto per cosa potrà accadere domani in questa Napoli che già senza l'incubo immondizia avrebbe validi motivi per piangere. Come la microcriminalità che rende i vicoli ancora più stretti e bui; il primato di una disoccupazione che non intende retrocedere e che fornisce mano d'opera alla camorra; e buona parte di quel poco lavoro che c’è, condannato a galleggiare sul precario travicello dell'abusivismo. Così trovi chi ti parla dei 70 milioni di euro già persi dal turismo, tanti quanti quelli bruciati qui dopo l'11 settembre 2001; degli alberghi semivuoti che guardano con terrore ai possibili effetti di questa crisi sulle prenotazioni della primavera-estate, cioè la stagione che vale un anno di lavoro; dei ristoranti dove è ormai superfluo prenotare; di un noto noleggiatore di barche che ha già ricevuto l’80% di disdette; o di un prestigioso congresso medico, con migliaia di partecipanti, precauzionalmente già spostato nella capitale. E con Napoli, insieme a Napoli, tremano le isole di Capri e Ischia, il golfo di Sorrento, la costiera amalfitana e tutto l'indotto, dai grandi traghetti alle lavanderie, dai camerieri stagionali ai venditori di souvenir, dalle flotte di pullman all'autista di piazza.
C'è poi la vox populi più politicizzata. Sia quella banalmente «di pancia», che si limita a rognare contro Bassolino e la Iervolino, lamentandosi che adesso tutti quelli che li avevano votati sembrano di colpo scomparsi; sia quella che ti conferma la vera ragione per cui Romano Prodi non può permettersi, nonostante l'immaginabile forte imbarazzo, di scaricare o' governatore. Non può per due serissimi motivi. Primo, perché fu proprio dalla Campania di Bassolino, nel 2006, in quella notte di scrutini elettorali da mago Bustric, che dal cappello a cilindro - complice anche un misterioso blackout - spuntarono i voti necessari ad attribuire i due seggi che assicuravano la maggioranza all'Unione.

Secondo, per quello che oggi è un singolo voto - ma quanto mai determinante, dopo la desistenza dell'ex rifondarolo Franco Turigliatto, passato al Gruppo misto - di Anna Maria Carloni, potente e onnipresente senatrice, nonché temutissima moglie di Bassolino. Temutissima - qui lo sanno tutti - anche da lui.

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