Il trionfo della rivincita? O un ritorno a Canossa? Non si cosparge il capo di cenere, ma neppure inalbera il vessillo della rivalsa, Massimo Giletti. Per il suo previsto (e prevedibile) ritorno in Rai, il giornalista-conduttore nel 2017 «accompagnato alla porta» di viale Mazzini (parole sue), e nel 2023 bruscamente estromesso da La7, sceglie un ben calcolato basso profilo. E un'occasione volutamente una tantum. Domani su Raiuno, infatti, condurrà La tv fa 70: show celebrativo per i settant'anni del servizio pubblico. Ma, per lui, soprattutto l'occasione di rimettere il naso dentro ad uno studio Rai. E annusare l'aria che tira.
Allora Giletti: come vive questo «gran ritorno»?
«Quando ho rimesso piede nello studio di La tv fa 70 è stato come riappropriarmi del luogo della mia nascita. Mi hanno accolto con un affetto enorme. E ritrovare gli stessi cameraman di allora è stata una vera emozione. Perché io è in Rai che sono nato: con Minoli, con Mixer. Ventisei anni della mia vita».
La storia è ricca di «transfughi» Rai poi pentitisi d'aver fatto le valigie. O invece questa per lei è una rivincita?
«Il Massimo Giletti di sette anni fa le avrebbe risposto bruscamente. Ma ho imparato ad essere più pacato, a non farmi trascinare dall'emotività. No: non è una rivincita. Ma nemmeno un pentimento. È semplicemente la vita. Dopo l'estromissione da La7 il mio maestro Minoli mi ha consigliato: stattene lontano, non dare interviste. Così ho fatto. Certo: se ti chiudono un programma di successo tu soffri. Quando arrivai a La 7 piangevo. Non per me, io ho le spalle larghe; per i miei ragazzi, rimasti senza lavoro. Non credo di aver fatto errori. La forza di un uomo è trovare in tutto un'opportunità per migliorarsi».
Tuttavia pare che qualcuno in Rai abbia storto la bocca: scegliere proprio lei, così critico verso l'azienda, per celebrare un compleanno così importante...
«È normale. Si saranno detti: questo è stato sette anni lontano, e proprio a luiLUNGA tocca? Però io ho fatto 26 anni in questa azienda, e non sono andato via per scelta: sono stato accompagnato alla porta. Avranno voluto diversificare. Vediamo che succede a dare un programma liturgico, si saranno detti, ad uno che ama essere anti-liturgico. In tv, eh? Io sono credente, la fede è il mio riferimento: la liturgia vera io la rispetto».
Come sarà, allora, questo La tv fa 70?
«Un grande evento che attraverserà, come in un ideale piano-sequenza, le pagine più celebri di questi 70 anni di Rai. I sabato sera, i comici, i presentatori, i divi, i cantanti, i quiz di ieri, attraverso le testimonianze di divi di oggi come Amadeus, Conti, Clerici, Bonolis, Angela, De Filippi, e sotto l'occhio dei padri della tv Baudo e Arbore. Il tutto legato dalle sigle più amate, affidate però a stelle di oggi come Angelina Mango o Noemi, Colapesce e Dimartino o Gabbani. Non vogliamo, cioè, fare un techetechetè: vogliamo essere contemporanei. Un po' come ha fatto Amadeus con Sanremo: portare l'attualità dentro alla tradizione».
Ci sarà qualche illustre assente?
«Uno solo. Fabio Fazio. Gli ho scritto; non ho avuto risposta. Lo capisco, perché fra noi due ci sono state delle tensioni. Ma la cosa mi è dispiaciuta, ne sono amareggiato. Averlo sarebbe stato importante».
Come vede la Rai dei prossimi settant'anni? E lei si vede come un suo futuro dirigente?
«Nel '92 i giornali titolavano: La tv generalista è morta. E invece eccoci: siamo ancora qui. Però questa Rai generalista dovrebbe osare un po' di più: ad esempio abbinare il linguaggio che le è proprio con quello delle tv che sono nate nel frattempo. I giorni d'oggi bisogna viverli con la tv di oggi. E tutti noi dovremmo provare più orgoglio Rai: fare programmi attingendo maggiormente alle risorse interne. Dirigente io? A viale Mazzini tutto è possibile».
Ma questo ritorno una tantum prelude ad uno in pianta stabile? E, nel caso, riprenderà a fare L'Arena?
«Per ora la Rai mi ha preso in prova. E comunque chi torna un po' deve pagare dazio. Vedremo.
Ma se rimarrò definitivamente lo si deciderà solo in maggio, giugno. Certo: L'Arena è un marchio Rai. Però ogni epoca ha i suoi programmi e io ho già un paio di progetti nuovi. Qualcosa farò: non so ancora cosa, con chi o dove. Magari, chissà, me ne andrò semplicemente in pensione...».
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