La «rivoluzione» è cominciata Come tutelare la liquidazione

Pronti, via. Il conto alla rovescia per i lavoratori dipendenti è scattato il primo gennaio: 6 mesi di tempo per decidere la destinazione del proprio Tfr. Potendo scegliere, come dispone il decreto legislativo n.252 del 5 dicembre 2005, se la buonuscita che ha iniziato a maturare dall’inizio di quest’anno debba restare in azienda o piuttosto prendere la strada di una forma di previdenza complementare. Nel primo caso è comunque possibile revocare successivamente la scelta (peraltro, alle aziende oltre i 50 dipendenti la Finanziaria 2007 sottrae il Tfr inoptato destinandolo a un fondo di Tesoreria gestito dall’Inps), mentre nel secondo si tratta di valutare a quale delle forme pensionistiche previste dalla normativa convenga aderire.
Delle varie possibilità il datore di lavoro deve dare conto ai propri dipendenti, informandoli in modo adeguato e ribadendo il tutto un mese prima della scadenza fissata per il 30 giugno. I lavoratori che tacciono, implicitamente acconsentono a versare d’ufficio il proprio Tfr in una forma di previdenza integrativa che, in assenza di altre opzioni, finirà in gestione all’Inps. Tacendo, i lavoratori rischiano di perdere il contributo che il dettato di legge prevede a carico del datore; ciò che peraltro avviene di certo scegliendo di mantenere il Tfr in azienda. Per tutti gli altri le alternative si sostanziano in un fondo negoziale (se già esistente per la specifica categoria di lavoratori), un fondo pensione aperto cui aderire su base collettiva in ragione di accordi o del regolamento aziendale, o, piuttosto, in una forma previdenziale individuale come un fondo aperto o una polizza assicurativa. Nel fondo pensione designato in virtù di un accordo collettivo ovvero del regolamento aziendale, confluiscono la quota del Tfr, i contributi del lavoratore e pure quelli del datore di lavoro.
Tutto ciò si traduce nell’accumulo di una somma che potrà trasformarsi, una volta raggiunta l’età della pensione, in una rendita integrativa. Con la facoltà di richiedere la liquidazione fino al 50% dell’ammontare maturato in forma di capitale, anziché interamente di rendita vitalizia.
I contributi versati sono fiscalmente deducibili e possono anche essere integrati con ulteriori versamenti; il beneficio fiscale si applica nel limite del 12% del reddito complessivo e dei 5.164,57 euro, per un importo non superiore al doppio della quota di Tfr destinata dal dipendente alla forma pensionistica collettiva. La normativa permette ai lavoratori di trasferire quanto accumulato, dopo un periodo minimo di 5 anni d’iscrizione al fondo aziendale, a un’altra forma pensionistica, sia, trascorsi 8 anni, di ottenere anticipazioni per l’acquisto della prima casa (per sé o per i figli), per ristrutturare l’abitazione, per sostenere terapie o interventi sanitari e pure per le spese in congedo di formazione. Dall’ultimo aggiornamento della Covip sui dati statistici della previdenza complementare emerge che nei 3 anni passati i fondi pensione di nuova istituzione hanno reso più del doppio (al netto dell’imposta sostitutiva dell’11%) del Tfr rivalutato: il 17,8% contro il 7,8%. In particolare, sempre secondo la Commissione di Vigilanza, i fondi pensione negoziali hanno fornito un rendimento medio del 17,2% e quelli aperti del 19,5%.

Agli azionari la palma dei migliori (più 26,2%), davanti a bilanciati, obbligazionari misti e obbligazionari puri (più 6,2%). Attualmente gli italiani iscritti a una forma di previdenza integrativa, tra dipendenti privati, autonomi, liberi professionisti e atipici, sono in tutto circa 3 milioni.

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