
nostro inviato a Sanremo
Alla fine Edoardo Bennato è riuscito (giustamente) a essere celebrato dal Festival di Sanremo. È toccato a lui, uno dei più grandi e liberi cantautori italiani, aprire la terza serata cantando Sono solo canzonette, che dà il titolo al documentario scritto e diretto da Stefano Salvati (in onda il 19 su Raiuno). L'altro momento clou è stata l'apparizione dei Duran Duran che hanno suonato un medley di successi (Invisible, Notorious, Ordinary World, Girls on film prima dell'arrivo di Victoria dei Maneskin che ha suonato il basso in Psycho killer) e poi si sono fatti intervistare da Carlo Conti che li ha portati a suonare The Wild boys a quarant'anni dalla prima esecuzione qui all'Ariston.
Una serata normale, qui e là punteggiata dal glamour delle coconduttrici Elettra Lamborghini e Miriam Leone e dalle battute di Katia Follesa, una delle poche ad aver portato risate sul palco. D'altronde «lo spettacolo è la musica» come ripete sempre il conduttore, e quindi largo alle quattordici canzoni in gara. Inizia Clara, finisce Gaia e in mezzo ci sono poche divagazioni, una delle quali è ai confini del sorprendente. Proprio dopo Sarah Toscano, arriva Samuele Parodi, 11 anni, ragazzino prodigio che sa tutto ma proprio tutto della storia del Festival e difatti risponde alle domande più imprevedibili di Carlo Conti sulle 74 edizioni di Sanremo. Insomma tutto molto «normale», tutto molto pacato e forse l'unica esagerazione è la fretta nel rispettare i tempi, realizzando finora uno dei Festival più stringati degli ultimi venti anni.
Sì certo, Si può dare di più, come intona il pubblico dell'Ariston a metà serata ricordando il brano di Morandi Ruggeri e Tozzi che vinse nel 1987, ma è anche vero che la formula trovata in questa edizione è senza dubbio una delle più vincenti (e non solo per gli ascolti).
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