“Ho sentito urla di dolore di Cerciello e una voce che diceva fermati. Mi sento in colpa, dovevo morire io al posto suo. Se fossi andato io magari avrebbero ucciso me”. Queste le parole di Sergio Brugiatelli durante la testimonianza al processo per l’uccisione di Mario Cerciello Rega, vicebrigadiere dei carabinieri ucciso lo scorso 26 luglio nel quartiere Prati di Roma. Gli imputati sono gli americani Elder Finnegan Lee e Gabriel Natale Hjorth. Ieri Brugiatelli ha raccontato tutto, ammettendo anche che, se non ci fosse stato il vicebrigadiere, sarebbe morto lui. E di questo si sente in colpa. Era là e ha sentito le urla di dolore di Rega.
L’uomo aveva accompagnato i ragazzi a Trastevere e aveva fatto loro da mediatore con il pusher, per l’acquisto di cocaina. Quando però l’accordo è saltato, Natale Hjorth si è vendicato prendendogli lo zaino. Brugiatelli ha allora chiamato i carabinieri e, con il loro aiuto ha cercato di riavere il suo zaino in cambio di soldi. L’appuntamento era stato concordato nel quartiere Prati, vicino all’albergo Le Meridien. Dove Rega è stato poi ucciso.
L'intermediario tra gli americani e il pusher
Brugiatelli ha iniziato a raccontare che quella sera aveva fatto da intermediario tra i due ragazzi americani e il pusher. “Stavo a piazza Trilussa e loro mi si sono avvicinati, ho chiamato Italo Pompei e mi sono diretto con loro verso piazza Mastai. Quando sono giunto lì, Pompei gli ha ceduto qualcosa e ha preso i soldi. Io non ho ricevuto nulla. E non sapevo che gli avesse dato tachipirina al posto di cocaina. Non sapevo nulla della truffa. Era la prima volta che facevo una cosa del genere” ha ammesso.
Alla fine, Brugiatelli ha affermato di aver accompagnato i ragazzi a comprare la droga, ma non di essere a conoscenza del raggiro nei loro confronti. Pompei però, tre giorni fa avrebbe dato un’altra versione dei fatti. Innanzitutto ha negato di essere uno spacciatore e di aver dato qualcosa agli americani. Il procuratore aggiunto Nunzia D'Elia e il pubblico ministero Maria Sabina Calabretta avrebbero ricostruito la vicenda in linea con la testimonianza. Il testimone avrebbe anche ammesso di aver avuto paura che potesse accadere qualcosa ai suoi cari. Nello zainetto rubatogli vi erano infatti sia il telefono che i suoi documenti, con tanto di indirizzo della sua abitazione.
Le urla di dolore di Cerciello Rega
“Non conoscevo né Cerciello né Andrea Varriale. Siamo andati a recuperare lo zaino dopo l'accordo preso con gli americani. Durante il tragitto da Trastevere a Prati non mi hanno detto nulla sulle modalità di intervento. Appena giunti, mi hanno detto di aspettare nei pressi dell'auto. Loro sono scesi. È lì che ho sentito le urla di dolore: ero terrorizzato, non mi sono mosso. Non ho visto nulla dell'aggressione: non so se avessero i distintivi o se fossero armati" ha continuato a raccontare Brugiatelli.
Di una cosa però sembra essere certo: se non ci fosse stato Cerciello Rega, sarebbe toccato a lui morire. Le urla di dolore del vicebrigadiere le ricorderà per tutta la vita, consapevole che è morto al suo posto. Il prossimo 10 luglio si dovrebbe tenere la prossima udienza in Assise.
Ieri, in aula, erano presenti anche due rappresentanti dell'ambasciata americana in Italia. I giudici hanno dato l’ok alla loro presenza nonostante, a causa delle norme anti coronavirus, il processo si tenga a porte chiuse.Segui già la pagina di Roma de ilGiornale.it?
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