"Lì in regola c’era poco e nulla", sono pronti a scommettere i beninformati. Del resto ogni angolo della città ha occhi e orecchie, a maggior ragione in una zona difficile come quella attorno alla stazione Termini. Difficoltà che ad elencarle tutte non si finisce più: degrado, insicurezza, abusivismo e la costante sensazione di abbandono. Così si tende a fare squadra e ad essere sempre vigili, a mettere in conto l’imprevisto. È per questo che il rogo di via Marghera – nel quale sono rimaste intossicate quattro persone, di cui due bimbi di 7 e 4 anni – non ha destato stupore tra la flotta di albergatori e gestori di attività ricettive della zona. Rabbia sì.
Le fiamme sono partite da un bed and breakfast che si trova al terzo piano di una palazzina dall’aria fatiscente. Il gestore è un cittadino del Bangladesh, uno dei tanti imprenditori stranieri che hanno scommesso sulla ripresa del turismo post pandemia, avendo dalla loro la liquidità necessaria. "Gli italiani ormai preferiscono lavorare da dipendenti piuttosto che accollarsi costi e rischi d’impresa, gli unici che riescono ancora a sostenerli sono i bengalesi, ignorando spesso le regole", si sfoga un albergatore che chiede di rimanere anonimo per evitare guai. La terza comunità straniera della Capitale per numero di presenze, dopo aver praticamente conquistato il monopolio dei minimarket, adesso sceglie il settore dell’ospitalità. Decisione legittima, per carità, ma il risultato non è sempre all’altezza delle aspettative.
"Io – ci tiene a mettere in chiaro il nostro albergatore – non ce l’ho con gli stranieri, anche i cinesi hanno investito parecchi soldi sulle attività ricettive ma le tengono dignitosamente, loro invece le portano al degrado, attirando una clientela discutibile e applicando prezzi insostenibili per una struttura regolare". Nel caso del bed and breakfast andato in fiamme, ad esempio, parlano le tante recensioni lasciate su Booking: "Copriletto pieno di chiazze marroni, lenzuola piccole e strappate in alcuni punti", "piumoni che puzzavano di essere umano", "acqua calda neanche a pagarla e impianti di riscaldamento fuori uso", "nessuna ricevuta fiscale, neanche dopo numerosi solleciti" e così via. "Altro che Covid, manca proprio l’igiene di base", chiosa una turista.
Quello che c’è da capire, adesso, è se a mancare siano state anche le misure di prevenzione antincendio. C’era almeno un estintore e qualcuno in grado di maneggiarlo? Nelle stanze erano presenti le istruzioni di sicurezza multilingue con l’indicazione del comportamento da tenere in caso d’incendio e le vie di fuga? Ma soprattutto, l’impianto elettrico era a regola d’arte? Sul caso indagano i carabinieri della stazione Macao insieme ai vigili del fuoco. Spetterà a loro risalire alle cause del rogo e accertare eventuali responsabilità. Tra le principali piste al vaglio degli inquirenti c’è proprio quella del malfunzionamento elettrico. Stando a quello che abbiamo potuto ricostruire, infatti, le fiamme si sono propagate da una camera vuota, circostanza che restringe notevolmente il campo delle ipotesi, escludendo ad esempio che l’innesco possa essere dovuto alla condotta degli ospiti.
"Ci auguriamo che questo episodio, potenzialmente tragico, serva a garantire maggiori controlli. Qui è tutto un pullulare di attività che lavorano in penombra e danneggiano chi rispetta le regole, svalutando l’immagine della città e facendo scappare i turisti, l’unico patrimonio che c’è rimasto", spiega a Il Giornale.it il Comitato albergatori romani. In realtà, sui furbetti dell’ospitalità il faro delle forze dell’ordine è già acceso da tempo. Lo dimostrano le tante operazioni condotte all’ombra della stazione Termini.
Le irregolarità contestate solo negli ultimi mesi vanno dall’esercizio dell’attività senza titolo e la mancata comunicazione dei nominativi delle persone alloggiate, all’ampliamento illecito dei posti letto e la mancanza della cartellonistica interna indicante le vie di fuga e antincendio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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