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Nel Far West della Stazione Tiburtina, tra risse e scabbia

La Stazione Tiburtina stenta a trasformarsi nel nuovo centro direzionale progettato da Campidoglio e Ferrovie dello Stato. All'ombra del secondo snodo ferroviario della Capitale, infatti, decine di persone vivono allo sbando tra illegalità e malattie

Nel Far West della Stazione Tiburtina, tra risse e scabbia

I rendering mostrano una città del futuro con ampi spazi circondati da grattacieli ed edifici avveniristici. Basta lasciarsi alle spalle il cimitero di fabbriche abbandonate della “Tiburtina Valley” e il malessere che si respira nella borgata per ricominciare a sognare. Il progetto del Campidoglio e di Ferrovie dello Stato è quello di trasformare la zona della Stazione Tiburtina nel “cuore pulsante di un nuovo centro direzionale” della Capitale. Una City Life romana, con alberghi, uffici, aree commerciali, poli universitari e di ricerca, dove spostare, in futuro, anche il nuovo quartier generale di FS. Per questo nelle scorse settimane è stato pubblicato il bando di gara per lo sviluppo del lotto C1, oltre 7mila metri quadri attorno ai binari dell’alta velocità che si candidano ad ospitare strutture ricettive e commerciali. Un progetto da 20 milioni di euro che dovrebbe prendere il via da dicembre 2019, data in cui è prevista la firma del contratto definitivo.

Nell’accordo stipulato nel 2000 tra Roma Capitale e Ferrovie dello Stato rientrano anche l’abbattimento della sopraelevata e lo spostamento del terminal dei bus, che dovrebbe lasciare il posto a nuovi parcheggi pubblici. Ma il piano ambizioso si scontra con una realtà che, per ora, è contrassegnata da degrado e abbandono (guarda il video). “Da quando è stata costruita la nuova stazione è aumentato il volume delle persone che frequentano la zona, e molto spesso si tratta di gente poco raccomandabile”, ci spiega la proprietaria di una pizzeria in via Teodorico, sul lato dello scalo che affaccia sul quartiere Nomentano. “Ogni mattina troviamo a terra decine di portafogli svuotati di contanti e carte di credito”, continua. “Lavorare qui è sempre più difficile – conferma anche suo figlio Donato – dobbiamo tenere sempre gli occhi aperti”. La pizzeria, infatti, è stata rapinata più di una volta nel giro di pochi mesi. Stessa sorte toccata alle attività commerciali vicine. “Lo scorso ottobre un gruppo di nordafricani per poco non ci ha distrutto il locale solo perché li abbiamo invitati a liberare il tavolino dove stavano bevendo birra acquistata altrove”, continua il giovane di origini partenopee, indicando i segni dei danneggiamenti di quella sera.

“Qui è il Far West – racconta una residente che incrociamo poco lontano – io stessa sono stata molestata da un uomo di colore perché mi sono rifiutata di dargli l’elemosina”. Risse e aggressioni, nelle vie che circondano la stazione, sono all’ordine del giorno. L’ultimo episodio risale a metà dicembre, quando una 54enne marocchina è stata rapinata della borsa e minacciata con un coccio di bottiglia da un senzatetto filippino sulla circonvallazione Nomentana. I piloni anneriti che sostengono la sopraelevata sono diventati, col tempo, la casa di decine di sbandati che vivono in condizioni disastrose. “Anche i dipendenti della Bnl, che nell’estate del 2017 ha scelto di trasferire qui la sua sede centrale, spesso trovano i vetri delle proprie auto spaccati”, ci dice Lorenzo Mancuso, portavoce del Comitato Cittadini Stazione Tiburtina, che da tempo chiede a gran voce l’abbattimento della sopraelevata. Secondo i residenti, inoltre, lo spostamento della stazione dei bus rischia di peggiorare la situazione. “Costruire un parcheggio vuol dire offrire a queste persone ulteriore terreno fertile per implementare i loro traffici”, attacca Mancuso. D’accordo con lui anche Holljwer Paolo, consigliere del secondo municipio, che accusa il Campidoglio di “non aver ancora redatto un piano di assetto definitivo per l’area che circonda la stazione”. “Navighiamo a vista, mentre il degrado aumenta”, sintetizza. Anche per l’esponente del centro destra, lo spostamento del terminal dei bus aggraverebbe la situazione. “Il pericolo – preconizza – è che il parcheggio si trasformi nell’ennesima terra di nessuno”.

Nel frattempo sotto la vecchia tangenziale, tra le tende e i materassi, un tappeto di vetri rotti testimonia gli eccessi che si consumano giorno e notte davanti a residenti e viaggiatori. “Nessuno ci aiuta, guarda siamo pieni di infezioni”, ci dicono due clochard marocchini mentre ci mostrano le pustole sparse ovunque sul loro corpo, dal dorso alla pianta dei piedi. “È scabbia – continuano in coro – qui ce l’hanno tutti e non abbiamo neppure i soldi per comprare le medicine”. Lì sotto, ci raccontano, c’è chi beve e chi fa uso di droga per sopravvivere alla precarietà. E quando l’alcol annebbia le coscienze scoppiano baruffe e litigi. La situazione non migliora sul versante orientale dello scalo ferroviario, quello che si affaccia su via Tiburtina, dove decine di migranti sgomberati dalla tendopoli gestita dai volontari del Baobab hanno di nuovo piantato le canadesi.

“Sono mesi che siamo qui ad attendere i documenti e dal governo nessuno ci ha dato un posto dove stare, per questo dormiamo in mezzo alla strada”, ci dice uno dei migranti, mentre il sole di dicembre tramonta e all’ombra della stazione aumentano cartoni e coperte, assieme alle sagome di decine di invisibili che qui hanno trovato il loro rifugio.

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