Incastonato tra gli stabilimenti abbandonati della Tiburtina Valley c’è un quartiere che non dorme mai. A San Basilio c’è sempre qualcuno di vedetta e qualcuno che aspetta (guarda il video).
Ci sono gli avventori occasionali, i clienti abituali, e poi c’è la gente comune. Quella che è costretta a girarsi dall’altra parte per non mettersi contro le organizzazioni criminali che controllano la borgata. Strade, piazze e case popolari. Nulla sfugge ai tentacoli dei signori dello spaccio che si sono arricchiti facendo leva sulla crisi economica e sulla miseria che si respira quaggiù. Sì, perché con un indotto di quasi sei milioni di euro l’anno questa è la terza piazza di spaccio d’Europa, più grande persino di Scampia e Secondigliano.
È iniziato tutto alla fine degli anni Novanta. Con la chiusura delle prime fabbriche è nata questa enorme agenzia di collocamento che dà da mangiare a centinaia di persone. Il pusher è solo l’ultimo anello di una lunga catena di comando che fa capo alle famiglie criminali. Ognuno qui è come il tassello di un puzzle che viene continuamente smontato dalle forze dell’ordine e puntualmente rimontato dai boss. Ci sono i corrieri della droga, i “cavalli”, e ci sono le sentinelle che sorvegliano il quartiere e danno l’allarme quando arrivano le “guardie”. Ma anche le persone incensurate pagate per nascondere le sostanze stupefacenti a casa o per confezionare le dosi. Lo schema è identico per ognuna delle principali piazze di spaccio della zona. Scenografie di cartapesta al di là delle quali ci sono mille occhi.
Una delle più vivaci è il "Bar della Coltellata”, conosciuta così per la vicinanza ad un locale ormai chiuso, dove negli anni Ottanta si verificarono diversi fatti di sangue. Quando ci arriviamo assieme agli agenti del Commissariato di San Basilio ci rendiamo conto di quanto si capillare e profonda la presenza del crimine. Il cuore dei traffici è la scala V del civico 50. Un intero condominio militarizzato dove gli inquilini non hanno più libero accesso ai loro alloggi. I malviventi hanno blindato l’ingresso montando un portone con i vetri oscurati e una fessura che si apre e si chiude all’occorrenza per permettere gli scambi. Se arriva la polizia, ci spiegano gli agenti, “la via di fuga è sul tetto”. All’ultimo piano della palazzina, infatti, troviamo un’altra porta blindata che dà sul terrazzo condominiale, dal quale si accede ai palazzi confinanti.
Al “Pd”, la piazza che prende il nome dalla vicina sezione del Partito Democratico, i pusher attendono i clienti in strada già dalle prime ore del mattino. Si accomodano sotto ai gazebo, seduti su vecchie sedie di plastica, scaldandosi accanto al fuoco di un braciere acceso. “Serve a distruggere la droga quando li fermiamo”, ci spiegano i poliziotti. C’è una ragazza di vent’anni che ne dimostra almeno il doppio. Addosso ha 15 grammi di cocaina e qualche centinaio di euro. “È per uso personale”, si giustifica. Ma è una tattica. “È raro trovare pusher con grossi quantitativi di droga addosso – spiegano gli agenti – se li fermiamo con pochi grammi, infatti, non gli possiamo fare praticamente nulla”. Il grosso viene messo al sicuro nei luoghi più disparati: tombini, contatori, ascensori, sottoscala. Ma anche nei lunghi tunnel che attraversano i sotterranei delle case popolari. Per chi non li conosce, orientarsi è praticamente impossibile.
Avanziamo in fila indiana nelle gallerie anguste dei palazzi di via Tranfo facendoci luce con una torcia. “Tempo fa – racconta un agente – qui sotto abbiamo trovato intere cassaforti con chili di hashish e marijuana”. Bastano pochi minuti perché da un cumulo di detriti venga fuori una scatola con 3 etti hashish e 16 dosi di marijuana. Un cofanetto dal valore di circa duemila euro. “Una mattinata di lavoro per i pusher”, ci spiegano i poliziotti che combattono quotidianamente la loro guerra personale contro i signori della droga. Una lotta senza quartiere che dal primo gennaio ad oggi ha portato ad oltre cento arresti, più di 9mila denunce, e al sequestro di 18 chili di cannabinoidi, 2 chili di cocaina, svariati etti di eroina e di amnesia, la cosiddetta “droga dello stupro”.
È per questo che chi si oppone allo status quo non ha vita facile. “Portare la divisa a San Basilio – ci spiega la dirigente del Commissariato, Agnese Cedrone – significa innanzitutto avere coraggio, passione per il proprio lavoro e non perdersi mai d’animo”. “La divisa è temuta, odiata, ma è anche rispettata – prosegue – sicuramente non c’è amore, ci sono odio e ostilità, perché andiamo a toccare il loro mondo”. C’è però anche un mondo parallelo che fa meno rumore. Si muove in silenzio, sotto traccia, ma lavora senza sosta per strappare i giovani al racket.
È quello dei ragazzi che alle piazze dello spaccio hanno preferito il campo da calcio e che si allenano nel rettangolo verde dell’Atletico Lodigiani. Fernando Mastropietro, direttore tecnico della squadra, è una vecchia gloria del pallone anni Settanta. È stato lui a lanciare Francesco Totti nel firmamento dei campioni. E grazie alla sua popolarità, adesso, il campetto che affaccia sullo scheletro diroccato della ex fabbrica della Penicillina è gremito di ragazzini.
“Qui insegniamo le regole, la fatica il rispetto – ci spiega – e i giovani che fanno questo sport pian piano riescono a distinguersi, diventando leader silenziosi dei loro lotti”. “Lo sport è uno strumento di riscatto”, continua Mastropietro, che a San Basilio c’è nato e cresciuto. “Se esiste il male che avanza – ci assicura – il bene lo contrasta in egual misura”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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