Ma quale Usa, l’hamburger è "made in Antica Roma"

La tesi dell’hamburger imperiale è contenuta in uno studio dell'università dell’Iowa. La ricetta si trova in un antico libro di cucina chiamato “Apicio”

Ma quale Usa, l’hamburger è "made in Antica Roma"

Chi vive di carne, formaggio fuso, bacon, ketchup, maionese, salsa piccante e coca-cola, rigorosamente extralarge, non accetterà mai compromessi. Eppure c’è chi scommette che le origini dell’hamburger siano lontani migliaia di chilometri dalla California, madre terra del fast food. Le origini dell’hamburger, uno dei piatti più popolari negli Stati Uniti, potrebbero essere legate in verità alla storia dell’antica Roma.

Questo è quanto sostenuto da una ricerca dell’Università dell’Iowa, guidata da Rosemary L. Moore. Stando a quanto riportato sul Daily Mail, in un antico libro di cucina romana vi è la ricetta di un pasto chiamato “Isicia Omentata”, che utilizza carne macinata, bacche di ginepro, vino, pinoli e una salsa salata a base di pesce, assemblati poi forma di tortina. Il libro, chiamato Apicio, viene composto alla fine del IV o V secolo, e riporta anche altre ricette che l’Impero utilizzava regolarmente come vitello fritto con uvetta, ragù di struzzo di tonno arrosto e molte altre specialità.

“Quando pensiamo alla cucina romana, l’Apicio è il libro di riferimento”, afferma Moore, docente di Storia classica presso la stessa università. Moore fa riferimento a Marco Gavius Apicius, considerato un amante del lusso raffinato e del cibo gourmet. Secondo lo studio pubblicato nel giugno dello scorso anno gli antichi romani mangiavano principalmente proteine vegetali, grano importato, olio d’oliva e vino. Alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge hanno poi studiato i cambiamenti nel regime alimentare romano dovuti alla contaminazione con gli imperi Ostrogoto e Bizantino. “Si è verificata una diversificazione nella dieta delle popolazioni locali che sono passate da un’alimentazione ricca di proteine animali e grano, olio d’oliva, salsa di pesce e vino importati dal nord Africa, a qualcosa di più simile a una dieta contadina, composta principalmente da proteine vegetali”, spiega Tamsin O’Connell, principale autore della ricerca.

L’industria del fast food non nascerebbe quindi nel sud della California. Il banchetto di hot dog e hamburger che marcia su e giù per i marciapiedi di una piccola cittadina come San Bernardino lasciamolo a chi non ama approfondire. È l’idea poco più ambiziosa di uno snack, uno spuntino “al volo”, la merenda con gli amici avrebbe le proprie radici nella multirazziale Roma del tardo impero. Questa non è l’America del secondo dopoguerra, ma è comunque la storia di una conquista: quella della modernità. La grande depressione, anni di fatica in cui secondo la tradizione emergeva il culto del fast food, c’entra poco. Ma qualcosa sembra essersi cristallizzato.

Scavalcando lo spazio e il tempo e congiungendo le sue pieghe è possibile assimilare Roma alla grande America di oggi. E il nostro fast food è proprio questo tempo che non si può fermare. Chi pensa che sia solo un panino e una bibita sbaglia di grosso. È un pezzo di noi, della nostra identità, un luogo che racconta tante storie e che parla lingue diverse e che permette a ciascuno di riconoscere la propria. Sono la prova che la relatività di Einstein si applica oltre l’universo e arriva dritta all’anima. È il ricordo dei tempi passati, degli incontri fatti per caso e rigorosamente di fretta, delle serate fuori dal cinema, mentre vi fermate a studiare le facce del pubblico che esce dall’ultimo spettacolo.

O quando passate quasi un’intera notte fuori alla ricerca di un cheeseburger qualsiasi, solo per tenere impegnato lo stomaco prima di crollare sul letto. Ma il junk food, quello che definite “spazzatura”, è anche lavoro e benessere. Qualcosa per cui non servono anni di studio, ma una volontà di ferro. È l’hardcore del capitalismo reale. Cresce e si diffonde in ogni angolo del mondo semplicemente perché funziona, perché è utile ovunque: stadi, aeroporti, centri commerciali, università, scuole elementari, navi da crociera, treni, stazioni di servizio. Non fa differenza.

Se il vino è la coca-cola dei romani, come raccontano nel meraviglioso libro “Roma caput vini” Giovanni Negri ed Elisabetta Petrini, l’Isicia Omentata è il loro hamburger. A partire dalla seconda metà del II secolo a.C, quando si diffonde il pane e quindi il nostro piatto a base di carne, anche il vino esplode. Diventando nutrimento e piacere di massa. Non è più riservato solo alla gens patrizia.

Nascono produttori, speculatori, grossisti e dettaglianti che accumulano capitali e fondano compagnie commerciali. È la meravigliosa forza del mercato che sopravvive ai secoli. E che ha Roma, l’eterna Roma, come residenza di nascita.

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