La baraccopoli sotto il cavalcavia di via Flaminia

Una favela in piena regola, con baracche, tende e materassi, è sorta lungo la via consolare dove le auto sfrecciano a tutta velocità. E i residenti preoccupati chiedono l'intervento delle istituzioni

La baraccopoli sotto il cavalcavia di via Flaminia

Gli effetti del pensionamento anticipato del governo gialloverde si vedono anche nella Capitale. Adesso che censimenti e sgomberi non incombono più, abusivismo e illegalità stanno pian piano recuperando terreno. Allora può capitare che là dove prima non c’era nulla, appaia un accampamento. Proprio come è successo lungo la via Flaminia, all’altezza di via di Grottarossa, dove è improvvisamente comparsa una baraccopoli. Un villaggio di plastica e cartone che corre lungo il cavalcavia, in uno spazio angusto e inospitale.

L’ennesima favela della città è schiacciata tra i binari della stazione ferroviaria e le macchine che sfrecciano lungo la consolare. È difficile da notare e quasi impossibile da raggiungere. La via d’accesso è un sentiero stretto che s’imbocca dopo avere scavalcato il guardrail. Tutto intorno ci sono immondizia e sterpaglie. L’accampamento si sviluppa in lunghezza ed è diviso in lotti. Ognuno è organizzato in maniera simile: una casupola chiusa con il lucchetto dove trascorrere la notte, le tracce del fuoco acceso usato per cucinare e poi vecchie sedie e divani in ordine sparso. A giudicare dalla quantità di baracche e materassi stesi a terra, la sensazione è che qui possano abitare fino ad una trentina di persone.

“Credo siano alcuni dei nomadi sgomberati due estati fa dal Camping River”, ipotizza don Valerio Bortolotti, il parroco di zona. Si trattò del primo passo verso il superamento dei campi rom promesso dal Campidoglio. Ed è stato un fiasco. Al termine di un lunghissimo braccio di ferro con l’amministrazione, solo una sparuta minoranza di nomadi decise di accettare le soluzioni alloggiative offerte dalla Sala Operativa del Comune. Gli altri, invece, dopo l’allontanamento da via Tenuta Piccirilli, si erano dispersi. “La zona – prosegue il sacerdote – è da sempre ostaggio di accampamenti abusivi, persino accanto alla parrocchia ce n’era uno dove abitavano centinaia di persone”. Questo lembo di territorio a nord di Roma era già salito agli onori della cronaca per il delitto di Giovanna Reggiani.

Sono passati quasi dodici anni da quando la donna, moglie di un capitano di vascello della Marina militare, è stata violentata e uccisa da un romeno nei pressi della stazione ferroviaria di Tor di Quinto. Romulus Mailat, l’assassino, viveva in una baracca. Ed è lì che la signora Reggiani è stata trascinata e abusata. “La gente – ricorda don Valerio – è ancora segnata da quel brutale omicidio”. E sono in molti ad avere paura. Come un padre che incontriamo nell’area residenziale a ridosso del cavalcavia. “Sono preoccupato per mia moglie e per il mio bambino”, ci dice.

Da Monte Mario a via Flaminia, i micro insediamenti spuntano come funghi, che sia tra la vegetazione o sotto un cavalcavia. “Immagino che come le vedo io le vedano anche i vigili, allora perché non intervengono?”, si domanda. “Alla lunga il degrado – avverte – si traduce sempre in situazioni di pericolo”.

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