Il Tevere in rovina: spaccio e abusivi all'ombra dei ponti romani

Tra accampamenti abusivi, spaccio e degrado, sempre meno romani si avventurano sulle banchine del Tevere. L'appello dei ciclisti: "C’è bisogno di un gruppo stabile della polizia locale che si sposti in bicicletta"

Il Tevere in rovina: spaccio e abusivi all'ombra dei ponti romani

Basta un fischio o anche solo un gesto ad allertare i pusher che presidiano le banchine del Tevere. La droga la nascondono nella vegetazione (che a definirla incolta le si fa un complimento) e quando il cliente fa capolino dai muraglioni, qualche metro più in su, recuperano le dosi e avviene lo scambio. Succede anche questo lungo gli argini del fiume che attraversa la Città Eterna.

A raccontarcelo con dovizia di particolari è un giovane appassionato di pesca sportiva, Federico. Frequenta il lungotevere all’altezza del ponte Rotto, in pieno centro città, per hobby e passione. Un passatempo più pericoloso di quel che si creda. “Veniamo a pescare sempre in coppia – dice indicando l’amico intento ad armeggiare con la canna da pesca – perché, soprattutto all’imbrunire, si rischia grosso”. Il riferimento è alla tragica fine di Beau Solomon, lo studente inglese annegato nel Tevere una notte di giugno del 2016. A scaraventarlo in acqua dopo una lite, secondo l’accusa, sarebbe stato un clochard che dormiva sotto ponte Garibaldi. Ma la ricostruzione della Procura, che per il senzatetto aveva chiesto l’ergastolo, non ha convinto i giudici. “Scippi, rapine e aggressioni non sono una novità da queste parti. Io stesso – aggiunge Federico – sono stato vittima di una tentata rapina”.

All’ombra dei ponti romani esiste una realtà parallela. Lo sbocco della Cloaca Massima, a due passi dall’Isola Tiberina, uno dei luoghi più suggestivi del Tevere, è un ricovero per sbandati e punkabbestia. Circa una decina di persone, che bivaccano a ridosso del monumento d’ingegneria idraulica civile più antico della città. Proseguendo in direzione del Gazometro, invece, iniziano a comparire le prime casupole. Vere e proprie cittadelle che, di ansa in ansa, diventano sempre più grandi. Sotto al ponte di Ferro se ne intravede una, arroccata in cima ai muraglioni e praticamente impossibile da scorgere nella sua interezza. Ma il caso più eclatante è quello del villaggio rom del viadotto del Magliana. Tra i pilastri di travertino abita una comunità di nomadi circondata da una maxi discarica. E non è difficile imbattersi in bimbi, anche piccolissimi, che rovistano assieme ai genitori nella distesa di immondizia e vecchi elettorodomestici che circonda la favela. “Discariche e insediamenti abusivi sono una piaga ormai storica, alcune volte interviene la polizia locale, ma – ci racconta Fausto, un ciclista che chiede soluzioni definitive – le bonifiche sono sterili perché le persone sgomberate si riaccampano qualche metro più in là”.

“Il degrado che c’è lascia l’amaro in bocca”, conferma Tiziano, un altro appassionato delle due ruote che incontriamo in zona Marconi. Siamo all’altezza del ponte dell’Industria e, proprio di fronte a noi, spicca un cimitero di biciclette del bike-sharing. Immerse nel fango e depredate di ruote e sellino, giacciono lì da anni. Da quando un branco di cani randagi l’ha rincorso, ci confessa il biker, “porto sempre con me uno sfollagente”. Le richieste di chi come lui frequenta le aree a ridosso del biondo Tevere sono sempre le stesse: manutenzione e sicurezza. “Due aspetti strettamente correlati, perché – prosegue Tiziano, indicando il groviglio di rovi che lambisce il passaggio – abbandono e trascuratezza mettono in fuga le famiglie e sono terreno fertile per chi vive nell’illegalità”.

Nei ricordi degli habituè del lungofiume è ancora impresso l’omicidio di Luigi Moriccioli. Il ciclista sessantenne aggredito da due romeni il 17 agosto del 2007. Pedalava lungo la ciclovia di Tor di Valle quando i suoi assassini, poco più che adolescenti, lo hanno colpito alla testa per rubargli il cellulare e un lettore cd.

“Dopo quell’episodio – denuncia Fausto – si era promesso di tenere in sicurezza queste aree ma, a distanza di più di dieci anni, non ci sono controlli assidui e frequenti”. “C’è bisogno di un gruppo stabile delle polizia locale che si sposti in bicicletta, un servizio che – conclude – chiediamo dal 2002”.

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