Il romanzo inesistente è nelle note a pie' di pagina

Un autore stanco, un personaggio che gli somiglia. E un discorso sui limiti e le potenzialità della scrittura

Il romanzo inesistente è nelle note a pie' di pagina

Nel luglio 2017, lo scrittore israeliano Tal M. Klein apriva un suo articolo su Writer's Digest con una battuta: «L'ultima nota che ho ricevuto dal mio editore diceva: Il tuo libro vivrà o morirà per le sue note a pie' di pagina. Dato che mi piace vedere il bicchiere mezzo pieno, ho deciso che era un encomio piuttosto che un avvertimento». Si riferiva al suo romanzo fanta-distopico The Punch Escrow, effettivamente pieno zeppo di note. Klein proseguiva: «Credo fermamente che siamo nel mezzo dell'era metaletteraria. I lettori moderni sono abituati a ottenere un contesto aggiuntivo da tutto ciò che leggono, sia passando il mouse sopra il testo evidenziato, facendo clic su un link, sia aprendo una nuova scheda e googlando il testo. Questa è l'arte di scrivere nell'età metaletteraria».

Come a dire: poiché la lettura elettronica fatta sui vari dispositivi (computer, smartphone, iPad eccetera) ha ormai sorpassato, in quantità, quella (come vogliamo chiamarla?) tradizionale, naturale, analogica, fatta di carta e inchiostro, gli scrittori di libri proposti anche in veste tradizionale, naturale, analogica, faranno bene ad adeguarsi. E proseguiva: «Gli autori che hanno aperto la strada - qui viene in mente Terry Pratchett - hanno da tempo inaugurato la pratica di usare le note a piè di pagina come meccanismo per rompere la quarta parete». Ora, a parte il fatto che quando si legge, elettronicamente o in modo tradizionale, le pareti sono soltanto due, ovvero il testo e gli occhi (collegati al cervello) del lettore, oppure i polpastrelli (sempre collegati al cervello) del lettore cieco, e che leggere non è come assistere a un lavoro teatrale o a un film, perché leggere non è uno spettacolo che avviene in un luogo ben definito, bensì un'esperienza intellettiva e intellettuale che può avvenire ovunque... A parte insomma il fatto che leggere è un'azione liberatoria, il termine più calzante, per indicare i libri di narrativa in cui le note a pie' di pagina non svolgono una funzione per così dire di servizio, ma assurgono al ruolo di assolute protagoniste, di narrazione parallela o altra, non è «metaletteratura», bensì sospensione della sospensione dell'incredulità, ma da parte dello scrittore, il quale rompe il patto con il lettore e gli dice, come fa Italo Calvino: lo so che sei lì. Al che il lettore in cuor suo risponde: e dove dovrei essere, se sto leggendo il tuo libro?

Poi Klein cita, fra gli altri, S. La nave di Teseo di V. M. Straka, di J.J Abrams e Doug Dorst, Fuoco pallido di Nabokov e Infinite Jest di David Foster Wallace. Non cita però Casa di foglie di Mark Z. Danielewski, del 2000 (Mondadori, 2005 e poi, nell'edizione arricchita, 66th and 2nd, 2019) che, oltre a essere un bell'esempio di letteratura ergodica nel segno dell'I Ching, il libro dei mutamenti cinese, o dei calligrammi di Apollinaire o di Cent mille milliards de poèmes di Queneau, è un libro sulla lettura (quindi sta dalla parte del lettore) e sul suo immenso potere che le permette di fagocitare, di divorare la letteratura di cui pure è diretta emanazione. La figlia che uccide la madre, altro che l'incredulità e le sue sospensioni varie ed eventuali...

Tutto quanto sopra per dire che Armand V. del norvegese Dag Solstad (Iperborea, pagg. 241, euro 18, traduzione di Maria Valeria D'Avino), romanzo composto esclusivamente di note come dice il sottotitolo, Note a un romanzo non scritto (che se tanto ci dà tanto diventa il vero titolo), a dispetto della bandella che reca non è «metaletteratura». Qui le pareti metaforiche sono le solite due, testo e occhi + cervello, e anzi, sotto altra metafora, non c'è il soffitto, ma soltanto il pavimento. Il romanzo non scritto che sta «lassù» non esiste: esiste soltanto lo scrittore che ne scrive, prendendosela peraltro costantemente con se stesso per non essere riuscito a scrivere il romanzo «di sopra», ma soltanto le note a suo corredo. Più che a Calvino, Armand V. fa pensare agli Escolios a un texto implicito, figli delle Notas, di Nicolás Gómez Dávila, anche se gli scoli, come da antica tradizione, stanno di fianco, non sotto il testo. Perché Armand V., come gli Escolios, è un commento al grande testo della vita. In più, al suo romanzo Solstad aggiunge un ingrediente umanissimo, questo sì «esistenziale» (cfr. la bandella): la stanchezza dello scrivere. Armand V. è datato 2006, Solstad l'ha scritto a 64 anni, quindi non da vecchio, poi sono seguiti altri tre libri e oggi, a 83 anni, pare cavarsela ancora egregiamente: un mese fa lo si è visto festeggiare i 125 anni del Den Norske Turistforening, cioè l'Associazione norvegese del trekking. Ma la stanchezza del vivere e/o l'incazzatura per dovere o volere cambiar vita, accompagna molti fra i protagonisti delle sue opere, e dunque è come se contagiasse lo stesso scrittore, causandogli la stanchezza dello scrivere.

Insomma, il signor Armand V. è il signor Dag Solstad, pur essendo tutt'altro. Nell'oggi del libro è infatti, come Solstad: over 60; uomo di successo, anche se in qualità di ambasciatore; sposato più volte; prova una sottile vergogna per il ruolo ancillare che la sua Norvegia ricopre nei confronti degli Stati Uniti (divertenti e grottesche le pagine dedicate all'incontro con l'ambasciatore degli Usa a Londra); ha sviluppato quel combinato disposto di disillusione e cinismo nei confronti degli ideali della giovinezza che caratterizza molti intellettuali a tutte le latitudini.

Le motivazioni esistenzial-filosofiche dello scrivere a pie' di pagina, Solstad le espone nelle sei pagine scarse della nota 5. Alle corrispondenze e sovrapposizioni fra la vita di Armand V. e della sua basta la nota 35. L'annotazione idealmente in calce a tutto il libro è la nota 83i: «Sto scrivendo nei tempi supplementari. La mia opera letteraria si è conclusa con T. Singer, scritto e pubblicato nel 1999. Tutto ciò che è venuto dopo è un'eccezione, che non si ripeterà mai. Anche questo». Prima e dopo tutto ciò, il lettore si trova di fronte a un bivio: la strada in salita è quella che lo condurrebbe a scrivere lui il romanzo «di sopra» di Armand V. sulla base dei frammenti lasciati cadere a terra da Solstad come le briciole da Pollicino, mentre la strada in piano, se non in discesa è quella che lo porterebbe ad accontentarsi delle briciole, come oggi i veri o presunti gourmet si accontentano della cucina molecolare presentata in porzioni da passerotti.

Chi scrive qui è andato sul sicuro imboccando la strada più agevole, mangiando le briciole come fossero risotti di mare o bolliti misti, contando sull'ingrediente più importante che ha

sempre con sé: l'immaginazione. «E se un romanzo fosse qualcosa che è già stato scritto, e il suo autore solo colui che lo trova, e lo porta faticosamente alla luce?», scrive Solstad. Domanda retorica, risposta scontata.

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