Adesso va di moda la società della condivisione, quella shared economy dove non si scambiano più beni privati ma si usano in forma di servizi che non hanno più un padrone. Sarà, ma c'è qualcuno che su questa idea apparentemente egualitaria sta diventando fanta-miliardario più di Zio Paperone (secondo l'ultima valutazione di una importante banca d'affari il valore attuale di YouTube sarebbe di 70 miliardi!) mentre impoveriscono e rischiano di morire interi settori della industria, fra cui quella che produce i contenuti, pezzo essenziale della creatività che costituisce la materia prima di molti di questi servizi. Economia della «condivisione delle briciole» la chiama l'economista di Berkeley Robert Reich e io sono d'accordo: è lo stesso fenomeno che sta distruggendo un welfare decente per i lavoratori dipendenti sostituendolo con i robot che eliminano lavoro e con la proliferazione di prestazioni ad hoc.
Se vi sembra una bella idea possiamo mandare in pensione il diritto d'autore e tutto quel sistema di protezione del copyright costruito faticosamente in più di trecento anni per affermare il diritto delle persone creative, e di chi investe su di loro, a vivere del proprio lavoro, senza dover mendicare alla mensa del principe, o sopravvivere ai margini delle corti, zelanti servitori del potere con un livello di dignità pari a zero o poco più. Questo è il cuore del processo di tutela: la libertà di creare e i diritti dell'individuo, nati non a caso insieme al liberalismo sociale ed economico dentro la prima vera rivoluzione industriale a cavallo fra Sei e Settecento. Fa specie che a proporne il superamento siano propugnatori di un neo-capitalismo sempre più foriero di concorrenza fasulla (chiedere di Uber ai tassisti), diseguaglianze e sfruttamento (altro che condivisione).
Sono passati trecentoquindici anni dallo Statuto di Anna che per primo ha riconosciuto il diritto dell'autore (allora di opere solo letterarie, poi man mano di tutte le altre) insieme a quello degli editori senza i quali i frutti della creatività non potrebbero diffondersi in tutta la società alle migliori condizioni possibili in base al meccanismo della domanda e dell'offerta. Tre secoli di crescita economica, sociale e culturale (perché il copyright è un motore di sviluppo) che hanno visto un numero incalcolabile di opere prodotte in tutti i campi dell'arte e che oggi vengono bruciate da un consumo spesso distratto che si vede libero e si vuole gratuito.
Passata la sbornia (perché passerà) si
pensa davvero che qualcuno in futuro vorrà creare senza l'incentivo economico e morale garantito dal diritto d'autore? Meditate, come ha fatto Taylor Swift...Caterina Caselli Sugar
(artista e discografica)
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