Sì alla Tav, ma Prodi non dice dove passerà

Il Professore teme le reazioni dei no-global mentre in Piemonte parte l’osservatorio sulla Torino-Lione. E la Bresso convoca i contestatori

Alessandro M. Caprettini

nostro inviato a Lucca

L'inverno è alle porte e il cielo è gonfio di pioggia, ma a Lucca spunta almeno un fiorellino nel - per il resto - arido summit franco-italiano. La Lione-Torino si farà. Lo ammette Prodi, sia pur ammantando il via libera con tutta una serie di circonlocuzioni per tenersi buoni i no global della Val di Susa, ma negli stessi istanti lo strilla ai quattro venti Antonio Di Pietro che in definitiva è l'unico a lasciare la città toscana con un sorriso smagliante dipinto sulle labbra.
Perchè l'ex-pm approdato alle Infrastrutture fa sapere anche di aver firmato proprio a palazzo Ducale assieme al collega transalpino Perben, «la domanda congiunta di finanziamento rivolta a Bruxelles» per poter ottenere i fondi con cui dare il via ai lavori. Per lui del resto è ormai certo che per quel che riguarda la linea ferroviaria ad alta velocità è questione solo di mesi, forse di giorni. «Il problema - spiega infatti - non è se fare o non fare, ma dove farla passare. E non è vero neanche che i francesi siano avanti rispetto a noi. Siamo pari!» giura piccato a chi gli parla di ritardi sul nostro versante.
Così se Prodi tentenna ancora un po' perché vorrebbe evitare di essere additato da no global e abitanti della Val di Susa come il distruttore del paradiso ecologico che sarebbe a rischio, giurando che prima di decidere occorrerà trovare l'accordo tra tutti i soggetti interessati, trovando uno Chirac grave e parco che si limita a far sapere che Parigi alla Tav ci tiene e aspetta «che gli italiani risolvano i loro problemi», ecco che il suo ministro - a pochi passi di distanza - già si lancia col cuore ma soprattutto con la parola oltre l'ostacolo. Tutto deciso e definito, se la ride Di Pietro. Salvo il dove passerà la linea. Che per lui appare comunque problema secondario, ma che in realtà potrebbe anche aumentare i costi a dismisura.
E proprio ieri, ironia della sorte, ha preso il via in Piemonte il lavoro dell'osservatorio tecnico che dovrebbe per l'appunto decidere dove far passare questa benedetta Tav Lione-Torino, tratta del ben noto corridoio 5 che vorrebbe l'Europa meridionale tagliata da una linea che partendo da Lisbona, arrivi fino a Kiev, passando per Barcellona, Lione, Torino, Milano, Trieste, e poi su su per Lubiana e Budapest prima di arrivare in Ucraina.
Mercedes Bresso, governatora del Piemonte dopo lunga esperienza di europarlamentare diessina, s'è augurata che l'osservatorio trovi risposte veloci ed adeguate. Ma soprattutto ha rivolto l'invito ai contestatori di prender parte ai suoi lavori, visto che il timore è che le contestazioni riprendano a prescindere dalla bontà delle soluzioni proposte nell'organismo tecnico.
Il timore, in sostanza, è che l'opposizione all'alta velocità si riscopra ideologica, buttando la mantella della salvaguardia ecologista o dei rischi da amianto da cui fino ad ora era stata coperta. Un timore che Prodi in qualche modo è parso condividere, visto che nel corso della conferenza finale del summit franco-italiano ha sì precisato che la Tav «è essenziale per la nostra economia», ma ha anche battuto a lungo il tasto della necessità che la decisione sia da prendere dopo un dialogo «aperto e trasparente» con tutte le parti in causa.


E tutti hanno capito perfettamente - anche se il premier non ne ha fatto minimamente cenno - che più che a ogni altro si riferiva alla componente ultrà di quella sinistra massimalista ci cui oggi il Professore, più che ostaggio, sembra il capobranco.

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