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Calzature, l'export non cresce Sagripanti: sul "Made in" delusi dal ministro Guidi

Assocalzaturifici: le esportazioni tirano e il saldo è attivo ma la crisi in Russia, Ucraina, Kazakistan e Giappone preoccupa le imprese. Etichetta d'origine obbligatoria: penalizzati dall'Europa

Calzature, l'export non cresce Sagripanti: sul "Made in" delusi dal ministro Guidi

Fiducia, preoccupazione, delusione ma anche determinazione ad andare avanti con la caparbietà di chi parte con la valigia in mano, si rimbocca le maniche e porta i campionari all’estero per conquistare nuove fette di mercato. Si può riassumere così il pensiero di Cleto Sagripanti, presidente di Assocalzaturifici che a fine 2014 traccia il bilancio di un anno che non è stato facile per i calzaturifici italiani e si interroga sugli scenari futuri di un settore manifatturiero del comparto moda e accessorio moda che ha nell’export il suo punto di forza.

Fiducia perché le nostre imprese continuano a giocare un ruolo centrale sui mercati e sono un punto di riferimento internazionale che trova in theMicam, il grande salone internazionale che si tiene a Fiera Milano e nelle sue declinazioni all’estero, un importante asset del business calzaturiero che andrà in scena dal 15 al 18 febbraio 2015 più ricco di novità e sempre più fashion con le sfilate. Preoccupazione, perché c’è il timore che si profili uno scenario di triple-dip, ossia di una terza crisi del settore nel giro di pochi anni. Delusione dopo il rinvio della decisione finale sul Made in, l’etichettatura d’origine obbligatoria, decisa dal Consiglio Competitività con la regia della Germania e una gestione non felice del dossier da parte del ministro Guidi. Ma andiamo con ordine.

Dopo la crisi della fine del 2008, che aveva portato la produzione di scarpe sotto la soglia critica delle 200 milioni di paia prodotte in Italia (198 milioni nel 2009), il settore aveva iniziato un lento ma progressivo recupero che aveva avuto una battuta di arresto nel 2012 ritornando verso la soglia critica (198,5 milioni paia) e facendo segnare un secondo scalino negativo (double-dip). Il 2013, grazie alla crescita delle esportazioni extra-Ue, aveva di nuovo riportato sopra quota 200 milioni, ma oggi i dati mostrano che vi sono seri rischi che il recupero si arresti nuovamente per un terzo sforamento verso il basso nel 2014 (triple-dip).

“I dati del terzo trimestre 2014 confermano le dinamiche non pienamente positive emerse nel primo semestre - spiega Sagripanti -. La domanda è debole su alcuni mercati esteri e in contrazione in Italia. Per molte aziende significa avere un portafoglio ordini volatile e discontinuo, con rischi elevati sul fronte del credito. Da qui nasce il timore del triple-dip”.

Sul fronte estero si registrano comunque i dati più confortanti, ma anche quelli che in prospettiva preoccupano di più. I primi otto mesi dell’anno, gli ultimi dati disponibili di Istat, elaborati dall’ufficio studi di Assocalzaturifici, vedono le esportazioni in sostanziale stagnazione (-0,1% in quantità), ma con un aumento in termini di valore (+3,9%) grazie all’incremento dei prezzi medi di vendita (+4%). Si è raggiunta la quota di 154,4 milioni di paia vendute all'estero, ovvero circa 110mila paia in meno rispetto a gennaio-agosto 2013 e al di sotto di 9 milioni di paia rispetto ai livelli del 2008.

“Questi dati ci preoccupano – prosegue Sagripanti – anche se ci mantengono ancora uno dei settori che contribuisce maggiormente al saldo commerciale attivo italiano: nei primi 8 mesi il saldo di settore è risultato in attivo per 2.941 milioni di euro, con un aumento dell’1,8% sul corrispondente periodo 2013. Anche se alcuni Paesi extra-Ue hanno avuto performance negative e la considerazione che questa componente è stata, negli anni passati, quella più positiva per le nostre vendite estere, non ci fa stare tranquilli”.

I macro trend indicano una tenuta delle esportazioni nell’Unione Europea, un raffreddamento della crescita nel Far East e un importante rallentamento nell’area dell’Europa Orientale. In tutti e tre questi trend, tuttavia, emergono situazioni differenziate. In Europa ad esempio, considerando la Ue a 28 Paesi (+0,8% in quantità e +5,5% in valore nell’insieme) si osserva la tenuta di Francia e Germania, i nostri principali mercati (entrambe +2,5% circa in volume), ma anche la flessione nei Paesi Bassi (-10,4% in quantità) e il recupero nel Regno Unito (+5,5%). In crescita anche la Spagna (+5,5%), che arresta così le erosioni dell’ultimo triennio. Trend negativi, invece, nell’Europa Orientale e in particolare nei Paesi della Comunità Stati Indipendenti, con cali a doppia cifra: -17,5% complessivo in volume e -21,4% in valore, dove Russia (-22,2% in valore), Ucraina (-29,4%) e Kazakistan (-14%) rappresentano l’apice di questa crisi. Pesante il contraccolpo sul portafoglio ordini di molte aziende del settore e in particolare nelle Marche, dove la Russia è il principale Paese di sbocco. Se gli Stati Uniti continuano a premiare le scarpe italiane (+12% in valore per il nostro terzo mercato) insieme al Medio Oriente (+7,6% in quantità e +13% in valore), il Far East mostra invece andamenti meno brillanti rispetto agli scorsi anni (+8,2% in valore complessivamente ma –0,4% in volume). Ciò è dovuto soprattutto alla crisi del Giappone (-5,3% valore e -5,6% nelle paia), mentre Cina - Hong Kong si è confermato il settimo mercato di destinazione in valore.

“La situazione delle esportazioni ci preoccupa soprattutto perché alcuni Paesi, nostri clienti storici, come Russia, Ucraina e Giappone, stanno subendo una crisi economica che non potrà non avere riflessi sulle nostre aziende – sottolinea il presidente di Assocalzaturifici -. Prima che altri mercati prendano il loro posto ci vorrà del tempo e da qui nasce il vero rischio di questa nuova contrazione che sembra profilarsi all’orizzonte. Il dato significativo è che le esportazioni nonostante tutto confermao quanto le nostre produzioni siano competitive. Nonostante il gap di costi con cui ci confrontiamo, buyers e consumatori hanno ancora una forte attrazione per il vero made in Italy. Ma su questo punto l’Europa ci sta ancora penalizzando, in particolare sulla legge per l’etichettatura di origine obbligatoria: un provvedimento indispensabile per tutelare i consumatori dell’area europea, l’unica al mondo dove ancora non vige un regolamento in questo senso”.

Dopo il voto dello scorso aprile con cui il Parlamento europeo si era espresso a larga maggioranza per il sì al Made in, la normativa è ora nelle mani del Consiglio Europeo, che lo scorso 4 dicembre ha rinviato la decisione finale: prima va fatto uno studio sull’impatto del provvedimento. Nulla di fatto e tattica dilatoria che non sono affatto piaciuti ai nostri imprenditori calzaturieri, e non solo a loro. “Ci attendevamo molto dal semestre di presidenza europea dell’Italia e siamo molto delusi dal ministro Guidi, presidente di turno dell’ultimo Consiglio Competitività, che ha rinviato ogni sviluppo agli esiti di uno studio tecnico sui costi e benefici della norma, che giungeranno a questo punto oltre la scadenza della presidenza italiana - spiega Cleto sagripanti -. Il giudizio generale sul governo è senza dubbio positivo, in linea con quello di Confindustria, ma quella per il Made in è una battaglia difficilissima e il ministro è andato impreparato. Abbiamo lavorato tanto assieme a Confindustria per far sentire la nostra voce in difesa della manifattura, le Istituzioni, invece, non hanno saputo far altro che annunciare vaghe promesse e rimandare il problema: davvero troppo poco considerando che la posta in gioco sono migliaia di posti di lavoro e il futuro della manifattura europea".

Una delle obiezioni che contrappongono gli Stati contrari è il costo che le imprese dovrebbero sostenere per apporre l'etichetta d’origine, sui prodotti. Ma Sagripanti spiega che è una posizione strumentale, “un altro modo per prendere tempo perché abbiamo già fatto un'indagine tra le imprese calzaturiere che già appongono questa etichetta: il 36,1% ha dichiarato di non avere costi aggiuntivi mentre un ulteriore 31,3% ha dichiarato costi inferiori ai dieci centesimi di euro. Per gli Stati europei che si oppongono e per quei pochi parlamentari che si sono pronunciati a sfavore, la consapevolezza dei consumatori, la loro salute e la salute dell'ambiente valgono meno di 10 centesimi di euro". E adesso? "Ci vorrebbe un colpo di mano di San Matteo Renzi…” ha detto con una battuta Sagripanti.

In termini congiunturali, ai problemi sui mercati dell’Est Europeo si sommano quelli, cronici, del mercato interno. Dopo la frenata subìta nel 2013 (-6% in volume e -5,8% in spesa), i consumi interni fanno registrare ancora un record negativo: gli acquisti delle famiglie italiane sono scesi del 3,5% in quantità e addirittura del 6,7% in spesa, con prezzi medi in ribasso del 3,3%; prezzi condizionati dal fatto che sconti, svendite, saldi mantengono un peso superiore al 50% sulle vendite complessive. Ciononostante si assiste ad un risveglio delle importazioni (+8,3% in volume e +6,2% in valore, con un -2% nel prezzo medio), mostrando un ulteriore aumento della pressione competitiva sul mercato domestico in uno scenario già molto penalizzante per le imprese italiane.

"Ci stiamo preparando a un nuovo scenario competitivo - sostiene il presidente Sagripanti - e come hanno già fatto in questi anni le imprese si sapranno attrezzare per queste nuove sfide. Solo così si spiega la nostra competitività sui mercati esteri. Ma la partita è più complessa e richiede sforzi e investimenti che non tutte le imprese possono fare. Per questo abbiamo lanciato l’idea di un credito di imposta al 50% per le spese di innovazione in termini di processo e servizio sui canali web. Oggi made in Italy non significa solo produrre in Italia, ma anche far percepire al consumatore questo valore e quindi offrire un servizio. Il web e i social network sono strumenti di comunicazione per gli operatori della filiera e di dialogo con i consumatori. Sono imprescindibili ed è per questo che dobbiamo lanciare un piano di digitalizzazione del settore ideato e attuato pensando alle nostre realtà di piccole medie imprese”. Sempre per promuovere le attività di ricerca e sviluppo, Assoicalzaturifici chiede anche di defiscalizzare gli investimenti per il rinnovo delle collezioni e la realizzazione del campionario, due elementi fondamentali per un comparto che fa della creatività la leva del proprio successo.

Cleto Sagripanti ha anche annunciato un cambio ai vertici di Assocalzaturifici: dal prossimo gennaio l'associazione avrà un nuovo direttore generale, Tommaso Cancellara, manager comasco,che arriva direttamente dalla Cina, dove negli ultimi tre è stato direttore marketing Asia&Pacific per la Technogym, a Shanghai. "Le candidature erano molte e di spessore quindi la scelta non è stata facile. Ma è caduta su Cancellara, perché pensiamo che un giovane di 34 anni con esperianza sui mercati esteri, porterà dinamicità all'associazione che mira a sviluppare nuove attività e nuovi servizi per l'Italia e l'estero".

Il manager comasco, classe 1980, laureato in Economia Istituzionale e d'Impresa a Lugano, ha lavorato per il Gruppo Ferrari-Maserati per i primi anni della sua carriera e dopo un breve passaggio come consulente, dal 2010 ha ricoperto cariche di crescente responsabilità alla Technogym.

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