Andrea Crisanti non utilizza giri di parole. Il virologo, in un’intervista al Fatto Quotidiano, definisce l’obbligo vaccinale “un’arma politica”. Secondo l’esperto, l’obiettivo sarebbe stato raggiunto e insistere inasprirebbe soltanto il clima sociale, considerando, che a suo parere, non si può immunizzare il cento per cento della popolazione italiana.
Allo stesso modo, pur non essendo stato riportato a caratteri cubitali nel titolo dell'articolo, l’esperto sottolinea come iniettare almeno una dose a chi fino a ora non l’ha voluta ricevere, può avere un impatto sulle terapie intensive, tenendo conto "che sopra i 50 anni le persone possono ammalarsi anche in modo grave”. Un aspetto non di poco conto. Quella italiana, infatti, non è tra le popolazioni più giovani del pianeta. Non è un caso che i reparti degli ospedali siano occupati da chi probabilmente ha le difese immunitarie più basse e dovrebbe essere più tutelato. Lo stesso Crisanti, infatti, si augura che il maggior numero possibile di cinquantenni si vaccini presto.
Nonostante ciò, per il docente universitario quando si è raggiunto un certo livello nella somministrazione delle dosi non serve andare oltre. Il professore prende, ad esempio, il caso africano dove non si arriva al cento per cento di vaccinati perché a suo parere “non conviene, costa troppo dal punto di vista economico e sociale”. Stiamo parlando, però, dello stesso continente dove il primo Covid ha sviluppato quelle varianti che oggi ci impediscono di tornare alla tanto auspicata normalità.
La domanda, pertanto, che Crisanti pone è: “Vale la pena arrivare al 95 per cento al costo di radicalizzare lo scontro nella società?”. Un interrogativo legittimo, che però, come sottolineato dall'immunologo, ci mette di fronte a un bivio, ovvero scegliere se mettere al sicuro quella parte della popolazione ancora non protetta, seppure più marginale rispetto a qualche mese fa oppure alimentare delle possibili tensioni all’interno della società.
Una scelta, che secondo il professore, spetterebbe alla politica e soprattutto all’attuale classe dirigente, che nei prossimi giorni è chiamata a decidere non solo sulle nuove limitazioni, tenendo conto per fortuna di dati relativi alla contagiosità più bassi, ma anche su come comportarsi nei casi di quelle persone che hanno scelto, in modo libero, di non vaccinarsi e che chiedono di continuare a vivere, pur rappresentando un rischio per quei soggetti deboli.
Per l’immunologo, la soluzione, quindi, sarebbe un’indagine sierologica come quella inglese che permetterebbe di
capire quante persone sono allo stato realmente protette e quante invece possono essere ancora a rischio di fronte a un nemico invisibile, che pur essendo meno forte rispetto a un anno fa, per più di qualcuno si rivela fatale.
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