"In questo momento è abbastanza chiaro che gli Usa cessano di essere un punto di riferimento rassicurante e obbligato anziché la stella polare dell'Occidente". Il giornalista Toni Capuozzo, reporter di guerra dal Medio Oriente e dall'Afghanistan, è sempre più convinto che gli Stati Uniti abbiano perso definitivamente il 'Grande gioco' in Asia Centrale.
Ma perché l'intelligence americana ha 'toppato' così gravemente?
"C'è un conflitto culturale. Gli americani sono convinti che il giuramento e la parola data siano scolpiti nel marmo, mentre in Afghanistan il tradimento e il voltafaccia non è neppure condannato moralmente, fa parte delle strategie di sopravvivenza. Gli stipendi dell'esercito afghano li pagava la comunità internazionale ed erano un po' come il reddito di cittadinanza. Erano dei reparti scalcagnati di gente che si guadagnava il pane da portare a casa e come si poteva pensare che questi si sarebbero battuti come leoni? Alla vigilia di Ferragosto, su Repubblica, si annunciava la difesa di Kabul, ma forse, quando il giornale è uscito nelle edicole, quei soldati avevano già gettato le divise alle ortiche".
E perché la Nato, che è ancora presente nei Paesi dell'ex Jugoslavia, è già voluta andar via dall'Afghanistan?
"La Nato è un'alleanza atlantica che era davvero fuori dal suo scenario e io ho sempre pensato che fosse già strano che fosse presente in Afghanistan. Mi ha sempre lasciato dubbioso che fosse la Nato a gestire quell'operazione e, ora, la Nato pagherà la perdita di credibilità e di immagine".
Quindi, d'ora in poi, dovremmo guardare verso Est, alla Cina?
"La Cina, silenziosamente, ha creato una ragnatela di rapporti economici, dagli Stati Uniti all'Italia, e sembrava del tutto inoffensiva. Adesso, invece, ci accorgiamo che non era solo economia, ma una corsa alla supremazia. Oggi sarà molto più interessante vedere cosa faranno la Cina e la Russia in Afghanistan, mentre gli Stati Uniti si leccheranno le ferite...".
Ma si può riconoscere lo Stato talebano?
"Penso che una cosa sia la morale che può ispirare le persone e il giornalismo, mentre altra cosa sia il governo della situazione. Non si può far finta che in questo momento l'Afghanistan sia in larga parte in mano ai talebani. Anche solo per affrontare la crisi umanitaria è con loro che ci si deve confrontare, poi il riconoscimento formale è un'altra cosa. Lo stesso Kosovo è un Paese che fatica ad essere riconosciuto da altri Paesi della comunità internazionale, ma c'è un riconoscimento di fatto che è quello della realtà".
Siamo, dunque, costretti a dialogare con i talebani come ha detto anche l'ex premier Conte?
"Guardi, non devo insegnare io l'italiano ad un avvocato, ma se lui anziché 'dialogo serrato', avesse detto 'dialogo intransigente', ossia che su alcuni temi come i diritti delle donne e i rapporti con i terroristi non si transige, avrebbe detto una banalità. Di Maio, invece, ha detto “giudicheremo dai fatti”, ma i fatti ci sono già e parlano di un doppio binario. Da un lato abbiamo la dirigenza talebana che sollecita gli aiuti internazionali per far fronte alla gigantesca crisi umanitaria che si affaccia e dall'altro lato ci sono le milizie talebane che vanno per le case a cercare collaborazioni e che impedisce alle donne di lavorare. Questi sono fatti, non parole".
Perché adesso, diversamente dalla metà degli anni '90, sembra che persino l'Ue possa riconoscere il governo talebano? Oppure è un'azione che poteranno avanti solo Russia e Cina?
"L'atteggiamento dell'Europa, in questo momento, è come il titolo di cavaliere: non viene negato a nessuno e non conta un c... Puoi essere cavaliere senza cavallo. Il rapporto con l'Europa è di pochissimo peso per i talebani. Contano di più il rapporto con l'Iran, la Cina, la Russia e gli Stati Uniti che mantengono ancora le navi lì per minacciare i bombardamenti. L'Europa, se avesse voluto contare qualcosa, avrebbe dovuto nominare un inviato speciale come Sassoli che avesse avuto il coraggio di andare a Kabul e dire: 'Sono qui a rappresentare l'Europa, una comunità che non vi ha mai fatto la guerra e sono qui per affrontare questa emergenza umanitaria. Come facciamo a evacuare migliaia di persone e a recuperare la lista dei nomi delle persone che noi vorremmo portare fuori? È possibile? Ce le scortate fino all'aeroporto? Ci aprite un varco?'. Questo avrebbe dovuto fare".
Ora aumenterà anche il rischio terrorismo oppure i talebani penseranno solo a fare affari?
"No, i talebani penseranno a fare affari e a governare il Paese con terrori con le donne e i dissidenti, però il terrorismo organizzato che ha nel mirino gli Usa e l'Europa non avrà diritto di cittadinanza, non hanno alcun interesse a sostenerlo. Da questo punto di vista, hanno imparato la lezione. In più, sono segnati da una rivalità mortale con lo Stato Islamico dell'Isis, c'è una concorrenza tra fondamentalisti e anche i talebani si dovranno difendere da chi è più fondamentalista di loro. Ma l'Afghanistan, secondo me, non diventerà un santuario del terrorismo".
L'Italia guidata da Mario Draghi, in un momento in cui l'Ue tentenna e in cui la Merkel è a fine mandato, che ruolo può avere?
"L'Italia può essere un ponte con la Russia e la Cina e tornare ad essere quel che è stato nella fase d'oro della sua politica estera. Che non significa derogare ai sui principi, ma essere dei grandi mediatori. Noi siamo stati capaci negli anni della Dc e del Psi di essere amici degli ebrei e dei palestinesi nello stesso tempo, del mondo arabo e dell'America, di essere filo-americani senza irritare la Russia. Questo deve essere il compito di un Paese come l'Italia e Draghi, che è pragmatico, mi sembra che l'abbia capito presto".
L'Urss è crollata poco dopo la guerra in Afghanistan, poi sono entrati in crisi gli Usa. Adesso anche l'impero cinese, sobbarcandosi il problema afghano, non rischia di indebolirsi?
"La Cina è molto prudente tant'è vero che non si è imbarcata ancora in nessuna avventura militare. C'è una lingua di Afghanistan, una sorta di fettuccina che si insinua in territorio cinese per centinaia di chilometri ed è ovvio che un emirato islamico possa scaldare i cuori degli uriguri, ma i talebani hanno già detto che non si occuperanno di quel problema interno a Pechino.
I cinesi faranno ciò che hanno già fatto in tanti Paesi dell'Africa: soldi, infrastrutture, business con cui guadagnano sia loro sia i governanti locali e, in qualche, misura anche i semplici cittadini. Insomma, molto pragmatismo. Detto questo, sì, l'Afghanistan resta la tomba degli imperi".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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