Una regia nuova che punta tutto sulla solitudine del potere autocratico

Per chi si domanda quale spettacolo vedrà nella iper-mediatica Prima della Scala ci sono notizie incoraggianti

Una regia nuova che punta tutto sulla solitudine del potere autocratico

Per chi si domanda quale spettacolo vedrà nella iper-mediatica Prima della Scala ci sono notizie incoraggianti. Intanto perché dopo un monopolio quasi inspiegabile negli anni recenti, il regista dello spettacolo è nuovo. La messa in scena, infatti, è stata affidata al regista svedese Kasper Holten, la cui dichiarazione programmatica di base fa ben sperare: «La concezione che ha ispirato la nostra produzione del Boris Godunov è incentrata sui temi della coscienza, del potere, della manipolazione, della censura e della verità». Grandi temi e tutti pertinenti al soggetto, qualcosa che rispetta l'essenza del capolavoro di Musorgskij che narra l'ascesa e la morte dello zar Boris, i suoi rimorsi per aver eliminato il legittimo erede, lo zarevitch bambino Dimitri, la sua ossessione nel garantire la sua successione al figlio Fëdor.

Per l'ambizione del potere Boris è votato alla più assoluta solitudine. Incompreso dal popolo che segue subito il pretendente Grigorij Otrepev, proclamatosi Dimitri redivivo, Boris viene tradito da tutti, a partire dal suo più stretto collaboratore, il principe Vasilij Shuiskij. L'affresco poetico e musicale ha una grandiosità shakespeariana. «L'opera di Musorgskij è basata sul dramma di Pukin, che a sua volta si è ispirato a Shakespeare: è interessante notare che il Boris storico visse all'epoca di Shakespeare».

Il periodo, passato alla storia come Torbidi, vede in atto la spietata lotta di potere scatenata dalla morte di Ivan il Terribile. Una guerra che vedrà succedersi zar Boris e il traditore Shuiskij, inframezzati da rivolte di Falsi Dimitri che sorgevano come funghi. La contesa di potere si placherà con l'avvento della dinastia Romanov e la salita al trono dello zar Michele. Ma i Torbidi sono una condizione immanente della storia russa e si ripresentano e si ripresenteranno ad ogni vuoto di potere autocratico, così è sempre stato e così sarà.

Dalla prospettiva occidentale di una democrazia mai gustata dal popolo russo, Holten ha scelto di dare molto rilievo al personaggio di Pimen, il monaco dalla voce di basso profondo che nell'oscurità della sua cella sta scrivendo la storia dei suoi tempi, conoscendo la verità che sta dietro alla morte del piccolo zarevitch.

«Il personaggio di Pimen è diventato più importante ed è in primo piano», scrive Holten. «Pimen è pericoloso, non solo in quanto testimone di verità, ma anche perché insiste nel raccontare la storia così come l'ha vista, invece di accettare la narrazione ufficiale, creata da chi detiene il potere. Nel corso dell'opera presentiamo Pimen quasi come fosse un giornalista che combatte per la libertà di parola e contro la censura che vediamo in atto: abbiamo ambientato l'intera opera all'interno della cronaca della storia russa scritta da Pimen».

Non ci vuole molto a capire come sottolineando quest'aspetto si stabilisca un parallelo fra passato e presente, fra lo scomodo cronista secentesco e la sorte toccata ai giornalisti o agli oppositori dell'attuale regime russo. Holten ha deciso che la sua messa in scena non sia solo una rappresentazione dei fatti presenti o alludenti al nostro presente: «Vedremo anche il passato lo zarevic assassinato mescolarsi con il presente, ovvero con i figli di Boris. Ma si mescolerà anche con le premonizioni del futuro: la visione nella mente di Boris di Fëdor sgozzato e di Ksenija violentata».

Nelle note il regista annuncia purtroppo di aver «voluto inserire un intervallo dopo il quarto quadro», per consentire «una naturale divisione della narrazione in due parti; prima si mostra come il popolo venga manipolato e come i l'incoronazione di Boris sia un'enorme messa in scena per impressionare lo stesso popolo. Poi nella seconda parte siamo con Boris nella sua casa, persino nella sua mente». Così facendo va in frantumi la rivoluzionaria struttura narrativa pensata da Musorgskij, cioè rappresentare sette scene incatenate senza soluzione di continuità. Ma questo avrebbe costretto il dotto pubblico della Prima scaligera ad ascoltare due ore e mezzo di musica filate. Con l'Intervallo inventato invece potrà rompere l'assedio della musica gettandosi nei ridotti e nei corridoi, o sperando di essere captato da qualche intervistatore a caccia di opinioni, o alla peggio, se proprio nessuno lo fila, può ingannare l'attesa scattando selfie per mostrare agli altri di essere presente e forse vivo.

Speriamo comunque che almeno fra l'enorme platea del pubblico televisivo ci sia chi comprenda

l'essenza di quanto questo allestimento si propone: raccontare «una storia di manipolazione delle persone, che ammonisce i potenti al fatto che le azioni non sono mai senza conseguenze: una storia del 1598, del 1869 e del 2022».

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