La scelta sulla scala mobile che fece ripartire l’Italia

Il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha citato il decreto di San Valentino sulla scala mobile fatto da Bettino Craxi come un esempio di riforma seria, costruttiva, coraggiosa. Poiché ne ricorre in questi giorni l’anniversario (il decreto è del 14 febbraio 1984) è giusto ricordarne l’enorme importanza economica e politica. Agli inizi degli anni Ottanta l’Italia era praticamente al disastro. Inflazione al 22%, prime rate al 25%, dramma in Borsa che in un giorno perde il 20%, chiude per sette giorni e alla riapertura perde un altro 10%, investimenti a zero, la Fiat che annuncia 15mila licenziamenti. Si va avanti solo attraverso continue svalutazioni della lira.
Sul piano politico c’è la strage alla stazione di Bologna, la tragedia dell’Itavia a Ustica, in Parlamento imperversano i «franchi tiratori». È il tempo in cui circolano parole d’ordine aberranti: il salario «variabile indipendente» dei costi di produzione, la «crescita zero» lanciata con successo dal Manifesto. Sono proposizioni che fanno a pugni non solo con l’economia ma anche con il buon senso: ma a sinistra hanno successo e si ripetono con forza. Quando Craxi va al governo (agosto 1983) la situazione economica è appena migliorata. L’Italia risente della ripresa produttiva ma l’inflazione è sempre al 16 per cento, ancora più alto il tasso di sconto, stentata la produzione. Gli economisti sono d’accordo nel puntare il dito sulla scala mobile, un automatismo che puntualmente fa scattare in alto i salari prescindendo da qualsiasi dato economico produttivo.
Craxi raccoglie l’indicazione e avvia una paziente ricerca di consensi. Sono con lui la Cisl di Carniti, la Uil di Benvenuto, il mondo della cooperazione, la Confindustria, la Confagricoltura, varie altre organizzazioni sindacali. Ma non mancano gli avversari: il Pci di Berlinguer, i repubblicani Spadolini e Giorgio La Malfa, il solito Scalfari, De Benedetti, Romiti. Sottobanco lavora contro anche De Mita, che non vuole che Craxi possa vincere quella grossa partita. La trattativa impegnò più di 200 ore, la maggior parte dedicata a cercare l’accordo con la Cgil di Lama. Ma Berlinguer, che crede di avere in mano la carta per infliggere un colpo mortale a Craxi che l’ha messo all’angolo, è irremovibile e con Trentin e Garavini impedisce a Lama di muoversi. Ma Craxi non si creò il problema della crisi dei rapporti a sinistra, e fece quello che andava fatto. Berlinguer annunciò il ricorso al referendum; Craxi rispose gettando sul tavolo le proprie dimissioni: se perdo il referendum me ne vado. Il Paese capì, Craxi vinse e restò.

Con lui vinse l’Italia che, debellata l’inflazione, riprese l’attività produttiva fino ad arrivare nel G7, l’organizzazione delle maggiori potenze industriali del mondo. Crebbe il benessere, crebbe la credibilità internazionale dell’Italia. Craxi non era un riformista di paglia.
Parlamentare Forza Italia
membro della Segreteria politica

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