Silvia Castello
da Roma
Fede e biopolitica. Scienziati in Vaticano. Si è concluso con l'atteso intervento di papa Benedetto XVI, il Congresso «Cellule staminali: quale futuro per la terapia? Aspetti scientifici e problematiche bioetiche» promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita e dalla Federazione Internazionale delle Associazioni Mediche Cattoliche in collaborazione con la Fondazione Lejeune di Parigi. «Anche la ricerca sulle cellule staminali somatiche merita approvazione e incoraggiamento quando coniuga felicemente insieme il sapere scientifico, la tecnologia più avanzata in ambito biologico e l'etica che postula il rispetto dell'essere umano in ogni stadio della sua esistenza» ha dichiarato il Santo Padre ricevendo a Castel Gandolfo i partecipanti al congresso. «Le prospettive aperte da questo nuovo capitolo della ricerca sono in se stesse affascinanti, perché lasciano intravedere la possibilità di curare malattie che comportano la degenerazione dei tessuti, con i conseguenti rischi di invalidità e di morte per chi ne è affetto». Il Pontefice ha così avallato i progressi della ricerca tramite l'uso delle cellule staminali adulte: «Il fatto che voi, in questo Congresso abbiate espresso l'impegno e la speranza di conseguire nuovi risultati terapeutici utilizzando cellule del corpo adulto senza ricorrere alla soppressione di esseri umani neo concepiti, e il fatto che i risultati stiano premiando il vostro lavoro, costituiscono una conferma della validità del costante invito della Chiesa al pieno rispetto dell'essere umano fin dal concepimento». Secondo il Papa, «il bene dell'uomo va ricercato non soltanto nelle finalità universalmente valide, ma anche nei metodi utilizzati per raggiungerle: il fine buono non può mai giustificare mezzi intrinsecamente illeciti». Benedetto XVI ha sentito il «dovere di lodare quanti si applicano a questa ricerca e quanti ne sostengono l'organizzazione e i costi». E di fronte alle «frequenti e ingiuste accuse di insensibilità rivolte alla Chiesa» verso le esigenze della scienza, ha rivendicato «il costante sostegno da essa dato nel corso della sua bimillenaria storia alla ricerca rivolta alla cura delle malattie e al bene dell'umanità».
L'iniziativa - svoltasi dal 14 al 16 settembre presso l'Istituto Augustinianum - è stata una occasione internazionale di altissimo livello - con la partecipazione di 250 studiosi provenienti da oltre 35 Paesi e un illustre comitato scientifico presieduto da monsignor Elio Sgreccia e il Professor Gian Luigi Gigli - per la valutazione dello stato attuale delle applicazioni terapeutiche delle cellule staminali nei diversi settori clinici.
La speranza di convertire le cellule staminali in cellule di qualsiasi tessuto sembrava annunciare l'imminente disponibilità di una fonte inesauribile di tessuti sostitutivi. Tuttavia, le profonde preoccupazioni etiche sorte all'interno dello stesso mondo scientifico, tra bioeticisti, politici e movimenti per la vita, hanno aperto un dibattito che ha diviso l'opinione pubblica, fino a diventare materia referendaria in Italia. Ciò non stupisce, se si pensa che ogni futura terapia che utilizzi cellule staminali embrionali presuppone che le linee cellulari vengano ottenute sacrificando la vita di embrioni umani. Negli ultimi anni, tuttavia, alcune cose sono cambiate. Da un lato infatti, le cellule staminali ottenute con la distruzione di embrioni umani, sebbene più facili da coltivare in vitro, sono caratterizzate da gravi ed ancora irrisolti problemi in vivo, come lo sviluppo di tumori, il bisogno di donatori immunologicamente compatibili, la possibilità di infezioni dovute ai materiali di origine animale utilizzati per le colture. Dall'altro, si sono accumulate evidenze scientifiche indicanti che le cellule staminali adulte o quelle estratte dalla placenta o dal cordone ombelicale sono più abbondanti e più facili da coltivare in laboratorio di quanto prima si riteneva. «In conclusione - dichiara monsignore Sgreccia - appare evidente la serietà e la gravità del problema etico aperto dalla volontà di estendere al campo umano la produzione e/o l'uso di embrioni umani anche in una prospettiva umanitaria.
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