Roma Se ne sarebbe fumate parecchie, di «bionde», se non si fosse tolto il vizio. Prima, durante e dopo la direzione nazionale, poco ispirata dall’indirizzo della location: via della Conciliazione. Ma chissenefrega. «Siamo usciti a testa alta e pronti a far sentire la nostra voce», assicura alla truppa. Sarà. Intanto ciancica chewing gum di continuo, sin dalle dieci del mattino, pur cosciente di essere a favore di telecamere, leste a scrutare ogni suo movimento. Quisquilie. Quel che conta, per il neo leader della minoranza pidiellina, mister Gianfranco Fini, alla guida di un undici titolare ancora senza panchina, è aver posto una prima pietra. Anche a costo di mostrarsi un po’ paonazzo, quando appare in video con in corso la replica piccata del Cavaliere. Affondo che gli fa perdere le staffe, con tanto di manina per dire «no, tu non mi cacci e io non me ne vado».
Concetto che ripete anche a fine match, dopo un intero pomeriggio trascorso a confabulare e discutere con i suoi (nei capannelli a ridosso della sala e in una stanzetta in cui li riunisce durante la pausa per il pranzo, dove gli viene tributato - raccontano - un «sentito applauso»). E vabbè. Dicevamo, Fini non molla, anzi: «Non ho alcuna intenzione di lasciare la presidenza della Camera e ho il pieno diritto nell’ambito del partito che ho contribuito a fondare di porre questioni politiche».
Tranquillo, pare, dopo una giornata di forti tensioni, in cui garantisce di avere ottenuto quello che voleva. Ovvero: «Viene meno la fase dell’unanimismo o della totale convergenza e si apre una positiva e democratica fase di discussione». Posizione legittima, anche se si tratta di un risultato di gran lunga inferiore rispetto alle sparate iniziali, alimentate a dovere da chi ha cavalcato in suo nome la battaglia contro il pensiero unico. Scissione, gruppi autonomi, ognun per sé. Eravamo di fronte a una minaccia-burla o le pretese sono state man mano ridimensionate? Su questo punto i finiani si dividono di nuovo. Ma il capo rimarca: la nuova componente è «numericamente molto minoritaria, come si è visto, e su questo non c’erano dubbi», anche se «si sente impegnata per l’attuazione del programma e di volta in volta rivendica il suo diritto a discutere su come si attua».
Ma è proprio quel «di volta in volta» che non lascia presagire molto di buono. Lo fa intendere con chiarezza uno degli undici contrari al documento finale approvato in direzione: «Se ci sottovalutate è meglio: vuol dire che non avete capito nulla». Chiediamo lumi: «Siamo in guerra e le regole sono saltate». Per capirci, «in Parlamento faremo ballare tutti e pian piano vedrete se siamo o no quattro gatti». Il finiano rintuzza: «La maggioranza d’ora in poi dovrà venire a trattare con noi, su ogni cosa. Vedrete che la visibilità ottenuta da Fini porterà a un allargamento progressivo della nostra squadra. E tra un anno chissà quanti saremo... ».
Una minaccia? Se così fosse, Fini giocherebbe allora a carte ancora coperte: «Adesso c’è una minoranza interna, di tipo politico culturale che supera la vecchia divisione tra Alleanza nazionale e Forza Italia, ma che non ha il diritto di sabotare». Ma non solo: «È una fase del tutto nuova e spero che tutti, a partire dal presidente Berlusconi, abbiano la consapevolezza che non siamo più nella situazione in cui eravamo fino a qualche giorno fa».
Di certo, la terza carica dello Stato non ci pensa affatto a fare un passo indietro, pur ribadendo ai suoi di restare calmi. «Io non sono un suo dipendente, non può fare il padrone con me», spiega a chi lo interpella sulle mosse future. Quindi, «sono disposto a pagare il prezzo della mia libertà, ma dovrà essere lui a cacciarmi». Opzione non praticabile, ovviamente, ma per certi versi auspicabile, secondo un paio di falchi che volano attorno al leader.
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