La scoperta dell’America: fu Marco Polo

«Non ho scritto che la metà di ciò che ho visto»: è l'ultima confidenza che Marco Polo avrebbe rilasciato ai suoi, sul letto di morte, nella natia Venezia. Era l'anno 1324, e quelle parole, oltre a solleticare i romanzieri, come Gary Jennings, che ci ha ricamato sopra l'epopea de «Il Viaggiatore», invischiano storici e geografi, alle prese con l'affidabilità delle notizie e dei dati che il mercante-diplomatico affidò durante la sua prigionia genovese alla penna di Rustichello da Pisa, dalle cui pagine sarebbe emerso l'affascinante, ma sibillino «Milione». Perché tanta reticenza? Secondo Gunnar Thompson, che nell'opera enciclopedica «American Discovery (1992)» passa in rassegna gli «scopritori» del Nuovo Mondo che hanno preceduto Colombo, il veneziano aveva le sue ottime ragioni per mescolare in giuste dosi il veridico e il fittizio: il suo resoconto doveva aver l'aria di cronaca seria (da qui la necessità di dettagliare in modo plausibile luoghi, costumi, eventi esotici), ma gli itinerari e gli snodi commerciali non potevano essere divulgati, come opuscoli turistici da edicola. Non lo desiderava la Serenissima, gelosa della supremazia mercantile, e sarebbe stato uno sgarbo anche per i potentati orientali che nell'abile Polo avevano riposto fiducia.
Ciò che le righe del «Milione» tacciono, sfolgora però in una mappa che sfodera credenziali di autenticità. La ripropone VDS, magazine parigino di attualità, in questi giorni in edicola. Più che una notizia, sarebbe una conferma: due secoli prima dell'Ammiraglio del Mare Oceano, l'intraprendente veneziano avrebbe calcato il suolo del Nuovo Mondo. La rivelazione sta in una carta, nota con il nome di «Mappa con Nave» risalente al 1294 (datazione al radiocarbonio e analisi ai raggi X del materiale scrittorio, effettuati dall'Fbi, confermano con qualche riserva di probabili aggiunte e riscritture), custodita alla Library of Congress, donazione di Marcian Rossi, un uomo d'affari di origine italiana. Già nel 1948 lo storico svedese Leo Bagrow aveva studiato il documento, ricavandone l'idea che quella mappa (uno schizzo senza pretese scientifiche, privo di indicazioni nautiche precise, ma che lasciava adito a pochi dubbi sulla forma delle terre disegnate) era il diario visivo di una missione che, attraverso lo stretto di Bering, aveva portato Marco Polo a ispezionare l'Alaska e la costa nordoccidentale degli Usa, almeno fino all'Oregon.
Curiosità da cartografo? Incompatibile con uno spirito curioso, ma del tutto pratico, come quello dell'agente veneziano. Lo scopo era di tracciare, ai fini della tassazione, per il reggente mongolo, Kublai Khan, un quadro dei lucrosi traffici mercantili (coloranti, oro, pietre preziose, giada, spezie, legnami di provenienza brasiliana) tra la Cina e l'America. Scopriamo che quel tratto di mare tra l'estremo oriente asiatico e il nuovo mondo era più trafficato di un'autostrada durante l'esodo estivo. Il supporto sta in un gustoso racconto della figlia di Marco, Bellela, forse anche autrice materiale della mappa, che accanto ai profili dei territori, mostra una nave veneziana e il sigillo cifrato dei Polo. In missione diplomatica a Sakhalin - narra Bellela - Marco Polo incappò in una bufera che lo scaraventò sulle coste della Kamchatka (la «Penisola dei Cervi») dove un mercante siriano, Biaxo Sirdomap, veterano dei traffici di pellicce, informò il viaggiatore che, a est, si stendeva la «Terra delle Foche», ghiacciai a picco sul mare, probabilmente l'Alaska. Altri indizi fioccano. Marco ci racconta di viaggi transoceanici della durata di un anno compiuti dai Giapponesi (che chiamavano il continente americano «Terra delle Donne») e di un'isola «dei Falconi» a 40 giorni di navigazione a est della Cina, il periodo sufficiente a una giunca d'alto mare per approdare alla Columbia Britannica. Questi i fatti, documentati dalla splendida «Mappa con Nave». Ma da qui a dire che Polo è il vero scopritore dell'America, forse, ce ne corre. La parola agli storici.

Sappiamo che Colombo fu lettore entusiasta del «Milione». Ma resta lui il coraggioso capace di trasformare il terribile Atlantico in un lago interno, lui ad azionare il volano economico, culturale e politico che dal Medioevo porta dritto filato all'oggi.
Ezio Savino

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