"Le scuole sono sempre più il palcoscenico del dolore"

Negli ultimi anni il disagio è in aumento. Lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini: "I ragazzi portano tutto di sé, anche la sofferenza e la rabbia"

"Le scuole sono sempre più il palcoscenico del dolore"
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Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta, docente universitario e presidente della Fondazione Minotauro, viene chiamato spesso nelle scuole quando succede qualcosa, quando si teme possa avvenire qualcosa, oppure negli istituti più attenti per far sì che non debba succedere qualcosa.

Professore, cosa sta accadendo nelle scuole?

«È indubbio che negli ultimi anni esiste un disagio e una sofferenza in forte aumento, già prima della pandemia. Ma c'è un altro fatto».

Quale?

«La scuola non è più un luogo dove vai solo a istruirti, dove il ragazzo era dentro un ruolo ben definito, quello di studente e basta. Ma era la scuola dove non c'era stato l'innalzamento dell'obbligo scolastico e la scolarizzazione di massa, era una società dove l'insegnante era l'unico che deteneva il potere del sapere, o ti sottomettevi o non conoscevi niente perché nessuno poteva permettersi la Treccani a casa».

Oggi invece?

«Oggi al di là di tutte le banalizzazioni, è un luogo dove i ragazzi portano tutti gli aspetti di sé in maniera sempre più esplicita, sempre meno sottomessa al ruolo del docente. E guardi che io non ci vedo niente di svantaggioso in questo, perchè prima c'erano altri problemi».

Ma?

«Ma questo ha fatto sì che anche il disagio, la sofferenza e il malessere che intanto sono aumentati, siano entrati in classe. E oggi ci troviamo a commentare un fatto di cronaca di questo tipo».

Matteo Lancini
Matteo Lancini

Le aggressioni contro i prof sarebbero più frequenti.

«Capisco l'allarme e la necessità dell'attenzione a questi fatti ma in Italia non siamo certo a livelli come nelle realtà statunitensi o come nelle banlieues francesi. É indubbio che il malessere portato a scuola dai ragazzi è in aumento e quindi abbiamo fenomeni come quello di oggi dove, giustamente, si scatena un'attenzione mediatica. Ma tenga conto che d'altro canto nelle nostre scuole c'è un numero impressionante di ragazzi che tentano il suicidio. Solo pochi giorni fa è successo non uno ma più di un caso in alcuni licei nella nostra città e anche nell'hinterland. Le scuole sono diventate luoghi molto importanti non solo o non tanto perchè qui si apprende ma perchè sono luoghi dove passi tanto tempo, dove c'è lo sguardo dei coetanei, dove c'è l'adulto significativo e possono diventare palcoscenico del dolore. Non a caso gli insegnanti denunciano l'aumento di segni di violenza, di ragazzi che si tagliano nei bagni, di ansia generalizzata fino ai gesti estremi spesso silenziati per evitare clamore. Sappiamo che molto spesso ogni omicidio è un suicidio mancato e viceversa. Anni fa l'Ufficio scolastico della Lombardia aveva addirittura organizzato una task force di cui ho fatto parte per intervenire a seguito di questi gesti gravi avvenuti a scuola».

La violenza contro un prof o contro se stessi avrebbe quindi la stessa matrice?

«Il dolore quando resta una rabbia muta, incomunicabile, diventa distruttivo nel funzionamento di alcuni ragazzi. E porta al gesto violento, con l'attacco al corpo, al proprio molto più spesso, o come in questo caso, a quello dell'insegnante. Ma io non escludo che il ragazzo abbia tentato o potrebbe tentare di farsi male.

Il vero tema su cui oggi dobbiamo discutere è come fare in modo che i ragazzi trovino un modo di esprimere la sofferenza invece di agire il dolore e tirare fuori una violenza così disastrosa, come in questo caso che porta un ragazzo a uccidere, quasi, il proprio insegnante che di certo per lui ha un ruolo significativo e quindi a rovinare anche la propria vita. Quindi a chi parla del mancato riconoscimento del ruolo dell'insegnante dico è proprio il contrario».

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