Sembra impossibile, eppure ha dovuto metterci coraggio l'assessora allo Sport Martina Riva per difendere la pugile Angela Carini con un'uscita che ha indignato il Pd. Perché oggi ci vuole fegato a stare con le lacrime di una donna che sul ring pretende di incrociare un'avversaria con il testosterone stabilito dalla federazione internazionale e non un marcantonio dalla dubbia carta d'identità. E non si può più dire, come ha fatto Riva che «lo sport è competere ad armi pari. Quelle non erano armi pari. Se il politicamente corretto invade lo sport, è la fine dello sport. O almeno di quello femminile». Troppo per il Pd che ha pensato bene di bullizzarla e coccolare la pugile algerina Imane Khelif. «È una vergogna leggere gli insulti e le fake news della destra su un'atleta che ha tutto il diritto di partecipare alle Olimpiadi» dicono. Come se le immagini dei bicipiti e dei pugni non fossero abbastanza eloquenti. Aggiungendo l'invito a «rivedere le sue parole, espresse forse in maniera impulsiva sui social e ad approfondire meglio queste tematiche», l'avviso censorio in perfetto stile sovietico. Perché «come detto in altre occasioni, non possiamo accettare posizioni di questo tipo da chi amministra la città, che sia di opposizione o di maggioranza».
Il bello, anzi il brutto, è che alla fine a rimetterci sono ancora due donne. La pugile Carini picchiata sul ring e l'assessore Riva additata al pubblico ludibrio solo per aver difeso la natura femminile.
Menate per questo, proprio come nel peggiore stereotipo delle società patriarcali che proprio la cultura di sinistra dice di voler ribaltare. Dimostrazione che oggi l'unico modo per fare la rivoluzione è essere sinceri conservatori.
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