L'antico orologio della casa in centro è fermo alle 7.40, l'ora del mattino in cui Carlo Alfredo Panzarasa è morto l'11 dicembre del 2016. Un caso. O, forse, sarebbe meglio dire un mistero. L'ultimo dei tanti che hanno accompagnato l'esistenza di quest'uomo.
Nasce nel 1928 da una famiglia di nobili origini e vive i primi anni della sua vita in Francia. La madre confeziona vestiti di lusso e il padre gira il mondo per consegnarli ai ricchi clienti. Carlo è fortunato. Incontra le ragazze più belle, si innamora di loro e le seduce. Una volta. E poi ancora e ancora. In Francia, gli italiani, anche quelli più ricchi, non sono ben visti come i russi e sono chiamati dispregiativamente «macaronì». E lui, giovane ribelle e irrequieto, risponde per le rime e, così, è costretto a cambiare molti collegi. La famiglia Panzarasa passa le vacanze in Italia e Carlo rimane affascinato dal fascismo. Si iscrive alle associazioni giovanili e fa di tutto per diffondere il verbo di Benito Mussolini, cosa non facile Oltralpe, soprattutto dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Nel frattempo, sua sorella Vanna si sposa con Carltheo Zeitschel: medico (si dice anche figlio illegittimo dell'ultimo imperatore di Germania, Guglielmo II), ambasciatore, membro delle SS e ideatore della deportazione degli ebrei in Madagascar. È lui a donare a Carlo numerosi cimeli del Terzo Reich. Arriva l'8 settembre 1943 e per Panzarasa è una tragedia. Si trova in Francia ma vuole tornare in Italia per fare la sua parte. Con tanti ragazzi raggiunge Bordeaux e si arruola nel Reggimento San Marco. Raggiunge poi Venezia dove si unisce alla Decima Flottiglia Mas, formando la Compagnia «Volontari di Francia» nel Battaglione «Fulmine».
Finisce sui fronti più cruenti e, per un soffio (che gli risparmierà la vita), non partecipa alla battaglia di Tarnova della Selva, dove moriranno quasi tutti i suoi commilitoni. In quell'occasione, Carlo giura che, se sopravviverà, dedicherà tutta l'esistenza al ricordo dei compagni caduti. Oltre al moschetto, Panzarasa porta in guerra due macchine fotografiche Leica e immortala tutto ciò che può: i combattimenti, i paesi distrutti e i «camerati» feriti. È dopo il 25 aprile che Carlo, mantenendo fede alla promessa fatta, diventa un punto di riferimento per tutti coloro che hanno combattuto nella Decima. I suoi compagni di armi gli inviano foto e lettere. Panzarasa è un maniaco della memoria: taglia, incolla, scrive didascalie e appunti. Non vuole che l'epopea dei vinti venga dimenticata. Insieme ad altri veterani raccoglie gran parte del materiale in un grande volume - L'onore delle armi alla Decima Mas - che Marina, sua moglie, conserva ancora sul tavolo di casa. Volti giovani e sorridenti. Spesso tirati e contratti dalla fame, dal freddo e dalla guerra.
Con la pace, Panzarasa perde tutto: gran parte dei beni di famiglia vengono confiscati. Deve ricostruirsi un futuro. Torna nell'antica casa dei genitori in Lomellina e lui, che conosce diverse lingue e ha già vissuto almeno due vite, viene assunto dalla Galbani come fattorino. Nel giro di pochi anni, però, riesce a diventare un manager dell'azienda. Viene spedito in Sardegna, all'epoca flagellata dai briganti e si sceglie, come compagni d'avventura, alcuni veterani che, pistola alla mano, riescono a portare a più miti consigli i criminali. Diventa imprenditore di se stesso e, quello che guadagna, Carlo lo spende per la Decima: prima partecipando all'acquisto a Nettuno di un campo dove verrà costruito un grande cenotafio dove sono sepolti centinaia di «camerati» caduti e finanziando l'associazione che aiuta i reduci in difficoltà economiche che desiderano partecipare ai vari raduni; e poi per vivere una vita inimitabile. Perché Panzarasa è stato anche un gentleman. Un uomo che conquistava con il sorriso e che amava dare feste incredibili, chiamando a suonare gruppi jazz o Romano Mussolini con la sua orchestra.
In tarda età conosce Marina e si innamorano. È lei che si preoccupa di tramandare la storia di Carlo. A Trieste fonda l'Istituto di Ricerche storiche e militari dell'Età contemporanea Carlo Alfredo Panzarasa. Poco alla volta, Marina trasferisce tutto il materiale alla Casa del combattente, in centro a Trieste. Le teche, che conservano la storia di Panzarasa e dei volontari di Francia, sono colme di memoria.
Non solo fotografie (parecchie migliaia), ma anche cimeli mai visti, come le catenine da polso con piastrina di riconoscimento che il comandante della Decima Mas, Junio Valerio Borghese, dava ai marò; l'archivio di Eugenio Wolk, ideatore e comandante dei famosi Gamma e una vera bandiera dei kamikaze del Sol Levante donatagli da Kazunori Yoshikawa. All'interno del museo, nascosto ai più, c'è un grande borsone nero, contenente alcuni documenti sulla Seconda guerra mondiale, che Borghese ha affidato a Panzarasa. Ma questa è un'altra storia...
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