Senza un accendino lo scrittore va in fumo

A Milano scatta il divieto verso il tabacco ma il vizio e la creatività vanno a braccetto

Senza un accendino lo scrittore va in fumo

Che rapporto esiste tra tabacco e letteratura?

Se avesse passeggiato oggi per le strade di Milano forse a Italo Svevo non sarebbe mai venuto in mente di scrivere La coscienza di Zeno, dove il protagonista Zeno Cosini racconta in prima persona il suo rapporto ossessivo con il fumo; Thomas Mann forse non avrebbe pubblicato La montagna incantata dove moltissimi passaggi sono dedicati alle sigarette; o chissà se un flaneur come Charles Baudelaire, «sono la pipa di uno scrittore», recita uno dei suoi versi più famosi, avrebbe trovato ispirazione per le sue poesie.

Nella Milano di oggi, dove da questo inizio 2025 è vietato fumare anche all'aperto, la maggior parte dei più grandi scrittori, quasi sempre accaniti fumatori, sarebbero sicuramente intervenuti nel dibattito che sta accendendo non le sigarette ma polemiche. Ai giorni nostri nessuno scrittore di particolare rilevanza si è voluto esprimere e di conseguenza tutto rischia di essere ridotto a un dibattito per lo più politico.

Al di là se essere favorevoli o contrari, se schierarsi tra chi è favorevole al provvedimento o meno (io mangio solo per fumare) è indubbio che il rapporto tra la grande letteratura e tabacco sia sempre stato particolarmente infuocato. E sono tantissimi i letterati che al fumo hanno dedicato romanzi, poesie, aforismi. Si passa dall'esordio di Andrea Camilleri, quasi completamente ignorato, nel 1984 con Un filo di fumo (Garzanti) a una Milano raccontata senza filtro a Luciano Bianciardi che, ne La vita agra (Feltrinelli), manda in fumo la capitale morale di Italia (ancora prima che lo fosse) contrapponendo i fumi della ciminiera di una fabbrica a quello soggettivo di un «fumatore con il vizio della scrittura». Tra i bisogni primari annotati la raccomandazione alla prima moglie: «Abbiano risparmiato in lampadine, venti di rate fra mobili vestiti e libri (si potrebbe anche non leggere, ma i vocabolari li devi comprare), quindici fra sigarette, caffè, giornali e qualche cinema, cinque fra pane e latte, restano sessantamila mensili per il companatico e gli imprevisti».

Ma prima di citare altri grandiosi autori c'è un curioso filo (rosso), oggi totalmente dimenticato e rimosso, che fa coincidere il primo giorno del 2025 con un episodio accaduto proprio il primo Gennaio di quasi 200 anni fa.

Il 1° gennaio del 1848, a Milano, fu infatti indetto lo «sciopero del fumo». Così lo storico Lucio Villari, nel saggio Bella e perduta. L'Italia del Risorgimento (Laterza, 2009), descrive quella giornata: «Era giorno di festa; al passeggio, eleganti borghesi, noti aristocratici con signore, in carrozza o a piedi, operai con l'abito buono. Scene abituali; ma questa volta vi è qualcosa di strano, gli uomini per strada non fumavano. Si era capillarmente diffusa la parola d'ordine di non fumare. Milano era percorsa da fermenti patriottici contro il rigido controllo diretto dell'Impero asburgico. Una inedita forma di protesta che mirava a provocare un danno economico all'erario imperiale, che deteneva il monopolio dei tabacchi».

Non l'ha riportato nessuno, forse perché «la storia è maestra di vita» è ormai soltanto una frase.

Facendo un salto nel futuro lo scrittore russo Zamjatin nel 1924 pubblicò il romanzo distopico Noi (Feltrinelli), considerato uno dei capisaldi della fantascienza sociologica, dove racconta che «Lo Stato Unico è retto da una personalità nota come Il Benefattore e il principio guida è che felicità e libertà siano incompatibili. Nel Giardino dell'Eden l'uomo era felice, ma nella sua follia chiese la libertà e fu scacciato nel deserto. Ora lo Stato Unico gli ha restituito la felicità privandolo della libertà». In una città, molto simile alla Milano da expo, i palazzi sono «costruiti esclusivamente in vetro e materiali trasparenti» ed è vietato assolutamente fumare. Ma è anche con l'accensione di una sigaretta che il protagonista dimostrerà il suo tentativo di ribellione.

Un altro fumatore accanito è stato George Orwell, l'autore inglese noto per il romanzo 1984, che in Omaggio alla Catalogna (Mondadori) scrive: «Vorrei sapere qual è il primo gesto appropriato che si deve fare quando si viene da un Paese in guerra e si mette il piede in territorio di pace. Il mio fu di correre dal tabaccaio e comprare quanti sigari e sigarette potevano starmi nelle tasche». Mentre nell'autobiografico Senza un soldo a Parigi e Londra, cronaca dei suoi vagabondaggi giovanili, sottolinea come il fumo sia «quell'ultimo vizio che la gente senza niente, si impedisce di non permettersi». E continua: «Non capisco come si possa non fumare... ci si rimette, dirò così, la parte migliore della vita e in ogni caso un piacere squisito. Quando mi sveglio, sono lieto all'idea che durante il giorno potrò fumare, e quando mangio, di nuovo me la godo, anzi posso dire che mangio soltanto per poter fumare, anche se dicendo così esagero naturalmente un pochino. Ma un giorno senza tabacco sarebbe per me il colmo dell'insulsaggine».

Nel già citato La Coscienza di Zeno di Italo Svevo, l'intero terzo capitolo è dedicato al rapporto tra il protagonista e il fumo, e inizia così: «Sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l'uomo ideale e forte che m'aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente». Mentre Thomas Mann sottolinea più volte il concetto: «Non capisco come è come rinunciare alla parte migliore della vita».

Il miglior Charles Bukowski, quello meno conosciuto delle poesie, nella raccolta L'Amore (Guanda) scrive che «l'amore non è altro che un faro di notte che fende la nebbia/ amore è una chiave di casa tua persa quando sei sbronzo/ amore è tutti i gatti spiaccicati dell'universo/ amore è una sigaretta col filtro ficcata in bocca e accesa dalla parte sbagliata».

E tanti altri sarebbero

da citare, non per fare un panegirico del tabacco ma perché subito viene alla mente la frase di Indro Montanelli quando scrive: «Strano Paese il nostro!!! Colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo!».

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