La Serracchiani sfonda, Veltroni la vuole leader

Ha preso 144mila preferenze, nella sua città ha battuto il premier e persino il suo capolista di 60mila voti. L'ex sindaco di Roma potrebbe candidarla alla segreteria. Il suo staff frena. Cadono i feudi anche del Nord industriale. E l'ultima speranza è appesa all'Ulivo

Roma - Se ci pensi, Debora racchiude in se tutti i paradossi del Partito democratico che registra numeri da record, sì, ma solo nell’unico caso in cui candida chi lo contesta (cioè lei).

Debora che stravince nel Nord, dove il Pd straperde. Debora che fa il pieno di preferenze con un comitato elettorale di 18 volontari (gli altri mobilitano gli apparati e prendono meno voti di lei). Perché il segreto di Debora Serracchiani è tutto qui, in fondo: è diventata la nuova Giovanna D’Arco del Pd, spinta alla testa della lista da un’alluvione di preferenze (144mila) ma ancora nessuno sa se sarà lei il modello della nuova sintesi. Di sicuro, per ora, è lei l’antitesi del modello (partitocratico) che ha governato il primo anno del Pd. Perché Debora ha triturato il capolista ottuagenario della sua stessa lista, predendo 60mila voti più di lui. Come una riformatrice (o come una scismatica?), una anabattista che rivendica il ritorno alla purezza primigenia del suo culto, tradito dai ministri di fede (senza fede), e dai pontefici di partito (troppo invischiati nel potere Romano). A caldo, finito lo scrutinio Debora commentava: «Ho battuto Papi» (si riferiva a Silvio Berlusconi). Ma ieri, completava il quadro con il sorriso sulle labbra e un’ironia asciuttissima, esibendo i suoi scalpi elettorali, equamente assortiti fra amici e nemici: «A esser pignoli ho battuto anche Bossi (proprio lui), anche Berlinguer (il cugino) e Prodi (il fratello)». E già che c’è ha lasciato al palo anche Salvatore Caronna, ultimo pollo di batteria del partito Emiliano (addirittura doppiato). Non è politicamente corretta. E ieri mi ripeteva: «Mi chiede se non mi sto montando la testa? Beh, un pochino sì, eh, eh... Ma passerà, cerco di restare coi piedi per terra».

È in questo modo che la Serracchiani è diventata la nuova Giovanna D’Arco del Veneto (come già Rosy Bindi nella Dc). Ed è per questo che ora vive la trepidazione e la difficoltà di tutti i riformatori che rischiano di essere incorporati nello stesso organismo che contestano. Ora le scelte diventano ogni giorno più difficili, le aspettative più alte. Nei blog e nei siti centinaia di fan che fino a ieri non conoscevano nemmeno la sua esistenza la invitano «a fare il segretario» e a «cacciare i mercanti dal tempio». E anche questo mandato radicale, lei lo rivela senza perifrasi: «Li ho incontrati a centinaia in campagna elettorale... Mi stringono la mano, mi abbracciano. mi dicono: fate questo benedetto Pd. E mandate a casa qualcuno!». Ecco, la francescana sobria, «la ragazzina» (Vittorio Sgarbi) ora se la deve vedere con il camerlengo (Franceschini), che l’ha messa in lista sperando di attutire l’impatto, e che se la ritrova alla testa di un nuovo esercito di fedeli.

Perché la Serracchiani ha iniziato il suo salto nella politica italiana con un discorso di contestazione che le è valso una candidatura. Un discorso che pochi minuti dopo essere stato pronunciato rimbalzava già in ogni angolo della rete. Ironico, moderatamente incazzato, criticissimo contro i vertici del partito e a dir poco irreverente anche con il segretario, Dario Franceschini, che la scrutava seduto in prima fila: «Ho ascoltato con molta attenzione tutti gli interventi... e sono arrivata a due conclusioni: la prima è che siamo votati alla sofferenza perché in questo posto fa freddo e ci si sta anche male la seconda è che c’è molto ottimismo...». Lei ottimista non lo era per nulla, e infatti lo aveva sottolineato subito: «Mi permetto, anche per non essere ripetitiva, di dire al mio segretario alcune cose che per me forse lui avrebbe dovuto e deve sottolineare con maggiore fermezza...». Classica perifrasi assertiva: mi permetto di dirvi, gentilmente, che state sbagliando tutto. Era il 21 marzo del 2009, la Serracchiani esordiva così all’assemblea del Pd, e la sua vita cambiava. Tant’è vero che come per disegnare un ante e un post «epocali», lei stessa dice di se: «La mia vita prima del 21 marzo...». Oggi quel video, su Youtube, risulta visionato 45 mila volte in due mesi. Ed è accompagnato da altri 85 che la riguardano: la Serracchiani all’Era glaciale, la Serracchiani alla Zanzara su Radio24, con Tabacci, contro Gasparri, a Ballarò... Un fenomeno di idolatria mai visto, negli anni anestetizzati del Pd, in cui i volti giovani erano quelli decorativi e inoffensivi delle Marianne Madie, delle segretarie particolari dei ministri (Luciana Pedoto) e delle figlie in carriera (Daniela Cardinale). Al contrario del primo profeta scalzo (Ivan Scalfarotto), la Serracchiani è riuscita a uscire dalla nicchia, a radicare consensi, attrarre energie. «La ragazzina» di cui nel salotto di Ilaria D’Amico, Di Pietro diceva «Voglio difenderla» si è messa ventre a terra riuscendo a organizzare 150 iniziative di piazza in un mese. «Chi ci veniva? Gente normale delusa della nostra opposizione, che considerava debole e insufficiente».

Debora si è già costruita un sistema di alleanze: i veltroniani stravedono per lei, a Roma l’hanno già invitata quattro volte, nei corridoi della sede nazionale si dice che l’ex sindaco di Roma (mentre corregge le bozze del suo prossimo libro), stia coltivando l’idea di candidarla alla segreteria. Walter Verini, il suo storico braccio destro, nega: «Vogliamo il partito delle Serracchiani, non della Serracchiani. Debora va per la sua strada senza padrini».

E deve essere così vero, che l’interessata per ora non scopre le sue carte: «Non sostengo né Franceschini né Bersani. Non accetto vincoli di nessun tipo. Guardo i programmi, ascolto cosa dicono, e poi decido». La favola finirà con una conversione o con una scomunica?

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