La sfida Bush-Gore? Per chi la decise fu una maledizione

Suicidi, tragedie aeree, gogne: le vite di chi risolse le elezioni infinite del Duemila non hanno avuto lieto fine. Tranne per la lente di ingrandimento

La sfida Bush-Gore? Per chi la decise fu una maledizione

Cinquecentotrentasette voti. Bastarono quelli a George W. Bush per prendersi la Florida e l'America tutta. Più i 5 voti contro 4 della Corte Suprema che decisero di fatto che dopo 36 giorni di polemiche, ricorsi e colpi bassi, era ora di finirla con i riconteggi. Al Gore doveva rassegnarsi e i dem smetterla di gridare ai brogli, di manifestare nelle piazze e pretendere di rifare tutto. Il 42mo presidente degli Stati Uniti era George W. Bush e l'America aveva l'obbligo di voltare pagina. Era l'alba del nuovo Millennio, il tramonto del Clintonismo, l'inversione di priorità nell'agenda dalla nuova Casa Bianca repubblicana: doveva cambiare tutto, aborto, scuola, ambiente. Poi arrivò l'11 settembre e niente sarebbe stato più come prima. Vent'anni fa, un secolo dopo, le stesse scene, o quasi, di oggi. Una maledizione per chi, in quei giorni, era al centro dell'inferno, gli uomini e le donne che decisero la Grande Corsa, con gli occhi del mondo addosso e il peso della Storia sulle spalle. Anche le loro vite, più nel male che nel bene, non sono state più le stesse.

Theresa LePore, all'epoca dem, era il supervisore delle elezioni nella contea di Palm Beach. La chiamarono «Madame Butterfly» perchè fu lei a inventare le famigerate «schede a farfalla» accusate di aver spostato per errore una marea di voti da Al Gore al candidato indipendente Pat Buchanan. Precisamente 3.407 invece delle poche centinaia previste. «Ma volevo che non si sospettasse nemmeno lontanamente che le mie scelte fossero viste come di parte - dice ancora orgogliosa - E francamente sono molto delusa dal modo in cui i Democratici mi hanno trattato». Dopo 34 anni da supervisore nel 2005 ha aperto un'agenzia di consulenza aziendale, la TA LePore Consultants, ma ha pagato cara la sua indipendenza di giudizio. Ha perso molte amicizie tra gli ex compagni progressisti e per anni è stata minacciata di morte. Evitava di di percorrere in auto la stessa strada per due volte di fila e i luoghi pubblici affollati. Non è andata meglio a Katherine Harris, il Segretario di Stato della Florida che ha interrotto il conteggio e certificato la vittoria di Bush. Ha raccontato la sua odissea nel libro Al centro della tempesta: minacciata anche lei di morte, consegnata ad ogni tipo di gogna, accusata persino di essere l'amante del governatore Jeb Bush, fratello di George, per il quale aveva fatto campagna elettorale, trasformata in macchietta per anni nel Saturday Night Live da Ana Gasteyer che la interpretava eternamente ubriaca, il trucco pesante e il sorriso da ebete, occupò per quattro anni un seggio alla Camera, poi Bill Nelson stroncò la sua corsa al Senato. Da lì in poi non si è fatta più vedere. Sette anni fa, il marito Anders Ebbeson, che soffriva da tempo di problemi di salute, si è suicidato nella casa dove vivevano, a Sarasota. Nel 2017 si è risposata con il banchiere texano Richard Ware II, uomo dal giro di affari da 4 miliardi di dollari. Carol Roberts, l'altra figura centrale del Comitato elettorale della contea di Palm Beach, finì anche lei sotto la protezione della polizia e bersaglio di minacce di morte. Oggi, a 84 anni, è nel consiglio della Palm Beach County Film Commission e fa volontariato come vicedirettore del Palm Beach Photographic Center. Viaggia molto e dice «mai avrei mai pensato di rivedere la stessa situazione 20 anni dopo». Lei Trump lo conosce da anni. Da quando acquistò la sua proprietà di Palm Beach per farne quello che è oggi il Trump International Golf Club. La invitò per due volte a casa sua, Mar-a-Lago, per chiudere l'affare. «Se ci tieni così tanto vieni tu da me» le rispose. Dice: «Non è cambiato molto in tutto questo tempo. Ha un ego esagerato e gli piace essere sempre al centro dell'attenzione». Chi invece Trump lo combatte e lo detesta da sempre è Mac Stipanovich, braccio destro di Katherine Harris e repubblicano come lei. È stato direttore della campagna elettorale in Florida di Ronald Reagan presidente nel 1984 e di quella di Jeb Bush e capo dello staff del governatore repubblicano Bob Martinez. Da quando l'anno scorso ha abbandonato per raggiunti limiti di età lo studio legale Buchanan, Ingersoll & Rooney, non ha fatto altro che sparare a zero contro Trump.

Singolare il destino dei due legali. Quello di Bush, Theodore Olson, ha difeso con successo la Cnn contro l'amministrazione Trump per le credenziali alla Casa Bianca revocate al giornalista Jim Acosta, ma ha rifiutato di difendere Trump stesso nel contenzioso con il consigliere speciale Robert Mueller. Meno di un anno dopo la sfida Bush-Gore ha perso la moglie Barbara Olson, avvocato anche lei e giornalista, sul volo 77 dell'American Airlines schiantatosi contro il Pentagono l'11 settembre. Anche se i complottisti, che negano lo schianto, sostengono sia ancora viva e che la nuova moglie di Olson, Evelyn Booth, altro non sia che Barbara ricostruita dalla chirurgia estetica. L'avvocato di Gore, David Boies, ha una tariffa di 2mila euro l'ora e Michael Moore e Harvey Weinstein tra i suoi clienti. Il New York Times lo ha accusato di aver condotto «un'operazione per diffamare le vittime di Weinstein». Insieme però, Olson e Boies, sono riusciti a far cancellare la «Proposition 8» della California che vietava il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Chi ha trovato invece onore e gloria è John Bolton, il baffo più famoso d'America. Prima di essere consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, era un avvocato repubblicano inviato nella contea di Palm Beach per monitorare il conteggio delle schede elettorali. I suoi baffi erano spesso sotto i riflettori mentre scrutava le schede alle spalle di Carol Roberts, Theresa LePore e del giudice della contea Charles Burton. Nel 2005 il presidente Bush lo nominò ambasciatore alle Nazioni Unite e da lì cominciò la sua scalata.

Tra i protagonisti di quei giorni la sorte migliore è toccata alla lente di ingrandimento immortalata nelle mani del giudice della contea di Broward, Robert Rosenberg, e diventata la foto simbolo di quel duello. Rosenberg l'ha donata allo Smithsonian Museum of American History nel 2001. Meritava un occhio di riguardo...

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