Soltanto un papà poteva farlo. Soltanto un papà poteva trovare quel coraggio. Via, insomma! Dentro, perché la bambina era rimasta là e lo chiamava! E allora, eccolo tuffarsi in quelle fiamme che alle 3 di notte, all'improvviso, avevano illuminato il buio della loro casa. Via, senza pensarci, con gli occhi accecati dal fumo, con il respiro avvelenato dai miasmi del suo misero tesoro di stracciaiolo per necessità - ormai un ammasso crepitante in corridoio - ma con l'unico senso ancora funzionante, l'udito, a guidarlo fin nell'inferno, fin là da dove arrivavano le grida della sua piccola Francesca. Poi le urla ancora più forti, di entrambi. E infine un silenzio, unico.
Li hanno trovati i vigili del fuoco: il padre disteso sul pavimento della cucina, la figlia ad appena un passo da lui, nell'ingresso. Tutti e due uccisi dal micidiale mix di stoffa carbonizzata e plastica fusa respirato in quel tizzone che era ormai il loro appartamento, a un primo piano delle palazzine popolari di via Aldo Moro a Castellaneta, in provincia di Taranto.
Limitandosi a fare i conti con la matematica senza sentimenti dell'anagrafe, Giuseppe Di Turo, ex operaio in pensione dell'Ilva, era senz'altro da considerare un papà dell'età di un nonno. Ma quando guardava gli occhi dolci di Francesca, 5 anni, e quelli vispi di Daniele che ne ha il doppio (il bimbo è sotto choc, ma vivo, così come mamma Lucia, trentasettenne, ferita e seriamente ustionata), le sue 71 primavere gli dovevano sembrare appunto per quel che erano: luminose primavere. Quelle trascorse tra le mille emozioni quotidiane offertegli dall'aver potuto vedere ancora nascere e crescere delle «sue» creature (dalla prima moglie, morta una quindicina di anni prima, Di Turo aveva avuto altri quattro figli).
E poi le altre, di primavere, quelle a venire, ma che intanto Giuseppe già si immaginava di poter vivere di nuovo (la scuola, magari l'università, e Dio volendo le nozze di almeno uno di loro), facendo e rifacendo a mente i conti con l'età e quelli senz'altro ancor più duri con il misero bilancio di uno che per campare onestamente si era improvvisato venditore di abiti usati.
«Giuseppe Di Turo aveva una pensione sociale, la famiglia riceveva provvidenze dal Comune ed era aiutata dalla Caritas», ha spiegato il sindaco di Castellaneta Italo D'Alessandro, accorso nella notte sul luogo dell'incendio, scoppiato presumibilmente in seguito a un corto circuito, ma poi ingigantito dalla gran massa di sacchi di plastica colmi di vestiti vecchi che l'uomo stivava nell'appartamento. «Due stanze non si potevano nemmeno aprire per via della tanta roba che c'era dentro, un cumulo alto quasi un metro», hanno raccontato i vigili del fuoco dando così anche un'idea precisa della potenziale pericolosità di quel misero business.
«Era indubbiamente una famiglia indigente, già provata dalle difficoltà della vita», ha aggiunto il primo cittadino con evidente riferimento a quello che potrà essere ora il futuro dei sopravvissuti. Ovvero del piccolo Daniele, della giovane vedova Lucia Di Napoli che Di Turo aveva sposato dodici anni fa, e della terza figlia della coppia, Raffaella, 7 anni, salvatasi perché in vacanza da parenti a Ginosa Marina. Il bambino, che come si è già ricordato ha subìto solo una forte alterazione emotiva, deve la sua salvezza a una maggiore prontezza di riflessi, o meglio a una migliore lucidità, che lo ha spinto a puntare subito diritto, pare aiutato anche lui dal padre, verso la porta d'ingresso che poi ha aperto da solo, ritrovandosi sulle scale. Sua madre Lucia, probabilmente in preda al panico perché avvolta dalle fiamme, si è lanciata invece dal balcone procurandosi gravi fratture a un femore e ai talloni.
Quanto alla palazzina di via Aldo Moro, giudicata inagibile, è stata evacuata. Ora è soltanto una cosa nera, fumante, dove non abiterebbe nemmeno la pietà.
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