Silvio, auguri ai 90 anni di don Verzè: "Arriveremo a 150"

Silvio, auguri ai 90 anni di don Verzè: "Arriveremo a 150"

Milano - Un’amicizia nata da uno screzio, una trentina d’anni fa e ora grande, grandissima, possibilmente eterna. O quasi. E non è uno scherzo. Don Verzè ci crede. Ieri ha compiuto novant’anni, ma è convinto di poter vivere fino a centoventi, al punto di creare un centro di ricerca, nella sua Verona, che ha come obiettivo l’allungamento della vita. Un progetto che Berlusconi, naturalmente, appoggia con convinzione, «anche perché se centoventi anni è la vita media, io e lui puntiamo a vivere trent’anni di più; insomma almeno fino a centocinquant’anni».

La battuta è piaciuta alla folla accorsa ieri nella Basilica del San Raffaele. E che folla. Ministri come la Gelmini e Maroni, il sindaco Moratti, il presidente della Provincia Podestà, l’alta borghesia milanese, attori, cantanti e tanta gente semplice, quel popolo di «raffaellini» che adora don Verzè, «un sacerdote scomodo che sa realizzare sogni impossibili», come lo ha ritratto il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli. Anzi, «un uomo che ha avuto il coraggio di rimanere bambino» e che nella sua vita è stato «semplice come una colomba, prudente come un serpente, coraggioso come un leone, audace come un’aquila, dal passo felpato come un’antilope». Parole del cardinale Martini, che ha voluto rendere omaggio a un uomo che stima «nonostante le preferenze politiche diverse» e che per un attimo ha chiamato persino San Luigi.

«Ho prevenuto i tempi», si è scusato Martini, ma Don Verzè ha gradito. E ha sorriso, invitando tutti a sorridere. Anche Silvio Berlusconi, che, viste le polemiche politiche negli ultimi giorni, d’istinto avrebbe voluto rispondere agli attacchi. Ma il testo del discorso ufficiale è rimasto piegato nella tasca della giacca. Perché quella di ieri era una domenica speciale, la domenica dei buoni sentimenti.

Don Verzè e Berlusconi, un’amicizia e due destini. Sovente incrociati. Quando, negli anni Settanta, il Cavaliere progettava Milano 2, il sacerdote costruiva l’ospedale San Raffaele. Bisticciarono per gli scarichi delle acque dei due complessi. «Quando lo incontrai, Don Verzè mi disse: guardi che lei non può prevalere, perché io come alleato ho Lui», ha ricordato Berlusconi, che di fronte al Signore fece, naturalmente, un passo indietro.

Da allora non si sono più scontrati. Anzi. «Provo per lui un amore profondo», ha spiegato il Cavaliere, che non si è indispettito nemmeno quando, mentre parlava, il cardinale Martini si è allontanato, in un gesto che a molti è parso polemico e che invece è stato provocato da un leggero malore dal quale l’ex arcivescovo di Milano, che soffre di Parkinson, si è ripreso poco dopo.
Silvio ama Don Luigi e Don Luigi ama Silvio. «Nato nella fede cristiana, ispirato alla fraternità non solo in Italia, giovane cantautore di crociera, Berlusconi è diventato il più grande imprenditore italiano». Don Verzè ha precisato che il suo «è un elogio personale e non politico». Da cittadino, lo ha definito «un personaggio storico che solo per amore di patria - insisto solo per amor di patria - è diventato uno statista di fama mondiale».

Lo apprezza, lo stima e lo conosce. Benissimo. «Così bene - ha ammesso il Cavaliere - che quando Don Luigi mi confessa, mi dà l’assoluzione senza neppure sentire i miei peccati». «Credo di essere stato l’unico a credere da subito che la sua non sarebbe stata un’utopia. Don Verzè è una delle poche persone che riesce a trasformare i sogni in realtà e a mobilitare eserciti di persone che credono nella sua missione».

E tra i «soldati del bene» il Cavaliere annovera se stesso. «Qualche volta gli chiedo un aiuto per l’ospedale dei lebbrosi nel deserto o per qualcos’altro e lui mi dà sempre una mano», ha riconosciuto il festeggiato, che ha ricordato le sue «battaglie» in Brasile, in India, in Afghanistan, in Irak, condotte affrontando difficoltà apparentemente insormontabili.

Don Luigi ce l’ha fatta, contro tutto e contro tutti. E ieri ha invitato il Cavaliere a non mollare. «Anch’io sono passato su scale che sanno di sale. Ma ho imparato che bisogna essere sempre buoni, anche con gli avversari; questo è il nostro patto fraterno».

Un patto che Silvio ha sottoscritto: «Il peccato altro non è che far del male agli altri».

Ha stretto tante mani, ma quando i cameramen e i cronisti si sono avvicinati, Berlusconi anziché precipitarsi verso di loro, come fa di solito, si è allontanato. Perché ieri, come recita un proverbio napoletano da lui ricordato, teneva «il cuore nello zucchero». Si sentiva leggero, ispirato, tranquillo. L’elisir di don Verzè ha funzionato.

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