Roma - Facce corrusche, neanche fosse "Odissea all’alba". Lidia Ravera tutta eccitata, in compagnia d’una bionda. Magari, oggi volano i porci come ai beati tempi prima di lui. Giornalisti di sinistra, intervistati al volo da La7 prima della proiezione e ripresi mentre fanno le corna alla domanda-provocazione: Silvio forever?.
Il regista Roberto Faenza, che spara pose in favore di flash davanti al cartellone pubblicitario del suo docufilm, mentre auspica il botto. Atmosfera da grande anteprima, insomma, al Quattro Fontane di Roma, dove nella prima mattina si attende l’evento di primavera. E invece, dopo gli ottanta minuti del docufilm più pompato dell’anno, quel Silvio forever (dal 25 nelle sale, con 100 copie) che raccomandiamo ai fans di Berlusconi (per la simpatia che, comunque, promana dal personaggio arcitaliano qui ritratto), accade un piccolo miracolo. Destra e sinistra uniti nel proclamare l’inutilità, anzi, il flop, di questa autobiografia non autorizzata di Silvio B.
Il fatto è che le firme del Corriere della Sera, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, qui autori di soggetto e sceneggiatura d’un prodotto costato 700mila euro (troppi, dato il lavoro di collage, "figlio di Internet", come spiega Faenza) volevano portare il proprio fortunato libro La Casta al cinema e non ci sono riusciti. Non piacciono le anime tiepide ai cinefagi e men che meno agli spregiatori del premier, i quali si leccavano i baffi, prima di vedere il docufilm, sperando in un’odiografia del Potere alla Michael Moore. E invece che cosa si è visto, per due volte quaranta minuti,infiniti se non dài carne e sangue, conditi da un montaggio beffardo alla Blob, con rapide sequenze di misfatti e donne nude, ragazzine insidiate dal "Drago" e soldi/tanti soldi/non domandarti da dove provengono? Di fatto, una career story e la storia di successo di un italiano eminente, raccontata dalla voce di Neri Marcorè, che a dire il vero imita benissimo il premier. Questo abbiamo visto. Tomo tomo, cacchio cacchio il povero Stella, fiutando l’aria che tira, involontariamente fornisce la chiave di lettura all’operazione della Lucky Red, distributrice del prodotto sbagliato negli intenti, perché sbagliato nella forma anodina.
"Sono due anni e mezzo che montiamo e rimontiamo il film: volevamo fare un film sulla classe politica, un tormentone. Ma gira e rigira, non c’era mai un baricentro. Qual era l’unico baricentro al quale ancorare il tutto? Silvio Berlusconi", ammette il giornalista, facendo coincidere la realtà politica attuale con il suo cinegiornale stile Luce. Ma farà di peggio Faenza, l’eterno educatore delle masse, che al botteghino fa flop, quando svela d’essersi lasciato affascinare dal Cavaliere, perché: "Io non ho mai visto Togliatti cantare e Berlusconi, invece, sì". Autogol perfetto: a noi italiani, uno che canta piace. Dose doppia di cazzimma radical-chic, poi, quando il regista, capendo che ormai la scena è persa e che la stampa annusa odor di vecchio brodino,commenta: "Nel film ci sono le immagini della folla oceanica, che adora il suo leader: è una scena agghiacciante. Come quella della gente, che dice: 'Vogliamo canale 5'. Quello è il Paese". Già, questo è il Paese ed è fatto anche da persone come altre, tipo Berlusconi. Dunque: dal docufilm manca la gente e, se c’è, essa fa schifo. Ma veniamo al dunque.
Berlusconi racconta se stesso (con la voce di Marcorè, quando manca il materiale audio originale), partendo dall'infanzia. In bianco e nero, scorrono le immagini di un ragazzino, che nel secondo dopoguerra si guadagna le prime paghette in natura (mastellini di latte, perlopiù), mentre il padre è in Svizzera e la madre cresce, da sola, due figli. Veniamo anche a sapere che S.B., una volta, ha salvato la sorellina da una caduta rovinosa. E che ha capito i comunisti, quando questi lo fecero cader giù da una scala, lui attacchino per la DC. Fa antipatia? Chiedetelo alle nonne. Poi entra in campo mamma Rosa, parlando del figlio come qualunque madre parlerebbe: con orgoglio e amore. E pazienza se dice che il suo rampollo, "mai lo vedrete in giro con le donne", suscitando le risatine dei moralisti figli di Voltaire.
Di fatto, la prima parte del docufilm è interessante perché riassume, con spezzoni di cinegiornali, foto e film presi da varie fonti, una vicenda personale non banale.
Ecco tutto, fino alla solita D’Addario, al solito Bossi anni Novanta,che disprezza il premier, alla solita Lario, ai soliti Dario Fo, Camilleri, Grillo. Avevamo già visto tutto in tivù e in rete. Erano partiti per bastonare, ma la mazza gli è caduta sui piedi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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