L'Europa si sveglia con la batosta socialista. Gli exit poll, e in qualche caso i voti reali, dicono che il crollo dei partiti socialdemocratici è uniforme in quasi tutto il Vecchio continente. Fa eccezione solo la Grecia dove il Pasok di Andreas Papandreou riesce a battere il partito di governo. In Francia la rinascita socialista non solo non c'è stata ma il partito guidato da Martine Aubry (nella foto) viene ridotto a poco più del 16%. Largamente scontata era la débâcle di Gordon Brown in Gran Bretagna. In Germania la Spd si ferma al 21,5%, tredici punti in meno delle precedenti elezioni legislative. In Austria i socialisti perdono il 10% dei suffragi e scendono al 23%. Sconfitta la socialdemocrazia danese. In Olanda i socialisti sono al 12,2% contro il 23,6 del 2004. Sconfitta drammatica anche in Ungheria. Clamoroso anche l’insuccesso in Spagna dei socialisti di Zapatero.
In poco più di un decennio la socialdemocrazia europea perde colpi nell'Europa del Sud, in quella centrale e nelle roccaforti scandinave. Vincono i partiti conservatori, rimasti unico argine alla crescita, impressionante in Austria e Olanda, dei partiti della destra xenofoba. Dopo la fine del «grande sogno» del comunismo riformato di Gorbaciov, ora tocca al «grande sogno» della socialdemocrazia rinnovata. In quasi nessun Paese europeo il crollo dei partiti socialisti avviene a vantaggio di altre formazioni radical. È l'intera sinistra ad uscire drammaticamente ridimensionata dopo questa tornata elettorale segnata da un astensionismo senza precedenti.
Colpiscono in questo panorama tre risultati. Il New Labour di Tony Blair è ormai un ricordo. Il più audace tentativo di rinnovare la cultura politica della sinistra si è infranta dopo un quindicennio e sotto i colpi della crisi. Il Labour oggi è un partito ridotto ai minimi termini, con un leader più impopolare dell'ultimo Prodi e incapace, a differenza del Professore, di mollare la scena malgrado glielo chiedano anche esponenti di primo piano del suo stesso partito. Gli orfani di Tony Blair vorrebbero tornare alle politiche e al carisma del vecchio leader, ma il dato impressionante è che con Gordon Brown perdono anche i giovani leoni cresciuti all'ombra del blairismo.
In Germania la Spd non esprime più un gruppo dirigente dotato di qualche visibilità e subisce l'egemonia di Angela Merkel che pure non può gioire del voto europeo. Dopo una serie impressionante di sconfitte regionali, la Spd si trova di fronte al rischio di venire surclassata ed eliminata dalla contesa del potere per qualche generazione. La sinistra francese è alla bancarotta, divisa da lotte intestine, incapace di rinnovarsi e di ritrovare un dialogo con il proprio elettorato tradizionale.
Se il '900 era stato il secolo socialdemocratico, questi primi anni del secolo possono segnare la fine di quella esperienza. Quasi dappertutto la socialdemocrazia combatte per mantenere il secondo posto fra i partiti nazionali e spesso non ci riesce più. Eppure il tentativo di innovare la vecchia famiglia socialista avviato poco meno di vent’anni fa era sembrato in grado di dare nuove possibilità alla sinistra europea. I vecchi partiti statalisti era stati pervasi da un nuovo furore mercatista. Lo stesso Welfare, a cui storicamente era legata la storia dei partiti socialisti, era stato declassato. I nuovi socialisti, spostatisi verso il centro, avevano abbandonato l'egualitarismo, su cui era stata costruita una tradizione secolare, sposando quell'«eguaglianza nelle opportunità» che sembrava più adatto a rispondere a società che mettevano al centro l'individuo.
Nel corso di quasi due decenni sinistra e destra avevano avuto pressoché la stessa politica economica, solo che mentre i socialisti erodevano il loro rapporto con l'elettorato, i partiti conservatori, da ultimo quello britannico, trovavano un linguaggio più adatto ai nuovi tempi. Spesso l'elettore di sinistra si spostava, come è accaduto in Francia e nei giorni scorsi in Olanda e Austria, dalla sinistra alla destra estrema e xenofoba cercando raggruppamenti in grado di dare identità alle paure dei nuovi tempi. In Italia abbiamo vissuto l'esperienza paradossale di un movimento giustizialista di destra, promosso da Antonio Di Pietro, che è diventato il rifugio di molti elettori delusi dal Pd. Questo è accaduto malgrado anche i partiti socialisti abbiano spesso adottato politiche di destra. La Spagna di Zapatero così avanzata sui temi dei diritti civili, al punto da provocare il più drammatico scontro continentale con la Chiesa cattolica, sposava in materia di immigrazione le politiche più dure di respingimento.
Il crollo del socialismo lo investe sia laddove è rimasto legato alla tradizione, è il caso della Francia, sia dove ha tentato la carta della «terza via» come in Gran Bretagna e Germania, sia dove ha cercato di buttare tutto per aria, come in Italia, nel sogno disperato di presentare un prodotto del tutto nuovo di fronte a un elettorato sempre più disincantato. Non c'è alcun nuovo leader socialista all'orizzonte. Forse una storia si è conclusa ieri. L'Europa scopre che può fare a meno dei socialisti.
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