Quello che accade sul campo da tennis non c'è bisogno di spiegarlo. Beppe Viola diceva di essere «disposto ad avere 37 e 2 tutta la vita in cambio della seconda palla di servizio di McEnroe». Per avere qualunque colpo di Jannik Sinner saremmo tutti disposti ad avere 37 e 5, anche 38 per avere il suo rovescio a due mani. Ma una vita in top spin non la si può ottenere a comando. Ecco allora che Sinner è Sinner e siamo tutti carota boys a prescindere.
Poi il destino, con tutti gli sponsor astrali che gli competono, vuole che Sinner in qualche modo debba fare anche l'attore. È stato reclutato, e non poteva essere diversamente, per un numero di spot enorme, attorno alla ventina. The show must go on, anche fuori dal campo da tennis. Non è una novità e non c'è niente di male. Anche perché con Sinner è subito gioco, partita, incontro: è il più grande influencer del momento. Allora è stato giocoforza inventare anche un Sinner attore. E di quello parleremo qui, perché il coraggio e l'impegno sono gli stessi anche davanti alla telecamera, ma alcuni colpi di sicuro sono un po' meno fluidi.
Partiamo dal «Peplum». Magari vi sarà sfuggito, ma per lanciare il torneo esibizione 6 King Slam, che si è tenuto a Riad a ottobre, e dove Sinner in finale ha bombardato Alcaraz con la continuità di una mitragliatrice, i Sauditi hanno prodotto proprio un minifilm di sei minuti con una trama tra il folle e l'eroicomico e un quantitativo di effetti speciali che nemmeno in tutto il franchise di Guerre Stellari.
Sinner, in quanto italico, è stato messo ad interpretare un buffo personaggio a metà tra un principe rinascimentale e un imperatore romano (per non scontentare nessuno con cose faticose come il senso della storia). Vestito a metà tra il Marcantonio di Richard Burton e un Lorenzo de Medici avvolto in un mantello di acrilico, Sinner scolpisce una gigantesca statua a sua immagine a colpi di servizio e la guarda con un sorrisone smagliante. Il gesto atletico è il suo, il sorriso guardando l'opera ha la sprezzatura che sarebbe piaciuta a Baldassar Castiglione. In questo caso promosso lui, bocciato tutto il resto. Per altro fa anche meglio dei colleghi. Come ovviamente in ogni spot in cui insegue una palla, o sfoggia la sua espressione tipica di quando gioca per davvero. Tipo nello spot per una nota marca di creme. Sin che gioca o si mette la crema solare, benissimo. Poi però «recita». Ecco, la parte in cui recita è più o meno paragonabile a quando l'uomo più bello del cinema italiano dopo Mastroianni, ovvero Stefano Accorsi, cerca di cambiare espressione. Ecco, diciamo così, fluido come il rovescio del ragionier Filini nella saga di Fantozzi.
Va un filo meglio con la nota pasta, anche se qui la racchetta deve solo farla girellare con la mano. Il livello di naturalezza non è proprio da metodo Stanislavskij. Oppure sì? Sinner piace perché, quando non incrocia a sorpresa o non compare in un punto del campo dove umanamente non si può, è di una semplicità disarmante. Quindi ti viene pure in mente che - visto che lo dice esattamente col tono piatto come il deserto di Sonora con cui commenta gli incontri - forse davvero ci creda agli spaghetti, come crede alla vittoria. Voto sei. Ma un sei sincero.
E poi il capolavoro di auto ironia. Lo spot per la pubblicità di un noto caffè. Sinner, elegantissimo, fa sempre Sinner e ripete costantemente il claim dello spot. Tutti gli dicono «perfetto» e lui ripete dicendo: «Sono sicuro di poter fare meglio, rifacciamolo». E avanti così per ore, mentre sul set cala il buio. Fa passare in pieno lo spirito del tennis di Sinner. C'è in nuce Borg che da bambino gioca per ore contro la parete del garage, c'è Agassi e c'è la metodicità del primo italiano in vetta al mondo della racchetta.
Il tutto con l'ironia di chi ripete sino allo sfinimento, perché per vincere serve la perseveranza e non l'ironia. Voto dieci in questo caso. Anche perché Sinner non farà mai l'attore. O forse sì, perché nessuno può dire dove sarà tra 6mila ciak. E al suo ritmo, non ci metterebbe nemmeno tanto a farli risuonare.
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