Lo scenario siriano è in stallo. Per alcuni giorni non molto si muoverà sul fronte internazionale più caldo del momento almeno fino a che, il nove settembre, il Congresso statunitense si riunirà per la prima volta dopo la pausa estiva, pronto a decidere su un'azione militare che il presidente Barack Obama è convinto debba esserci, ma che non intende ordinare senza l'assenso della Camere.
In attesa di una discussione che si preannuncia spinosa, il Segretario di Stato John Kerry e il segretario della Difesa Chuck Hagel saranno domani alla Commissione esteri del Senato, per un'audizione che tenterà di fare luce sulle ragioni del governo e darà il via al confronto tra i membri del Congresso e la leadership statunitense.
Un incontro anticipato oggi da uno stuolo di dichiarazioni, a cui ha dato il via il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che ha ribadito - megafono del sostegno di Mosca al governo damasceno - che sull'utilizzo di armi chimiche da parte di Bashar al-Assad "non ci sono fatti, ci sono semplicemente dichiarazioni". Una posizione che nelle cancellerie occidentali non trova sostegno, ma condivisibile invece dall'Iran e dall'Hezbollah libanese, alleati della Siria nel contratare l'insurrezione armata.
La posizione di Lavrov è stata ribadita in serata anche da Bashar al-Assad. Il presidente siriano, in un'intervista su Le Figaro, online in versione integrale dalle ventidue di oggi, ha ribadito che Obama e Hollande "sono stati incapaci di fornire le prove alle loro nazioni", mascherando il loro interventismo dietro dichiarazioni e poca sostanza. Ha anche sviato le accuse che gli vengono rivolte, chiedendo "dov'è la logica" nell'utilizzo di armi di distruzione di massa in una zona, la Ghouta a est della capitale Damasco, dove si trovano anche soldati governativi. Una posizione che non convince la Francia e gli Stati Uniti, ma neppure la Nato, il cui segretario generale ha detto oggi che "restare fermi darebbe la risposta sbagliata ai dittatori di tutto il mondo".
L'accusa rivolta ad Asad dalla Casa Bianca, secondo la quale sotto gli effetti degli agenti chimici sono morte oltre 1400 persone, per Damasco sono non solo false, ma anche pericolose, in un "Medio Oriente" che "è una polveriera" e in cui "esiste il rischio di una guerra regionale".
Dichiarazioni che echeggiano quelle degli Hezbollah, che si sono detti pronti a tirare su Israele da territorio siriano, un modo per sottolineare che non abbandoneranno l'alleato di Damasco, ma che puntano a non coinvolgere il Libano. Il rischio dell'estendersi del conflitto è comunque dietro l'angolo. E al di là delle armi a parlare della crisi siriana sono anche le migliaia di profughi che varcano il confine tra Damasco e Beirut.
Rispondendo a Le Figaro, Assad ha spiegato anche che "il popolo francese non è nostro nemico", mettendo però in guardia: "La politica del suo Stato è ostile al popolo siriano. Nella misura in cui la politica dello Stato francese è ostile al popolo siriano, questo Stato sarà suo nemico". E la posizione di François Hollande è chiara: accanto agli Stati Uniti, laddove la Gran Bretagna è stata invece fermata dal voto contrario del parlamento.
Contraria all'intervento contro Damasco rimane anche l'Italia, che continua a portare la bandiera di chi chiede di agire soltanto sotto l'egida delle Nazioni Unite. Una posizione condivisa anche dalla Lega Araba, che - pur lacerata dal dissenso di alcuni Paesi membri - è favorevole a un attacco, se l'Onu darà il via libera.
538em;">Un grido accorato perché non si dichiari guerra a Damasco è arrivato oggi anche dal Vaticano, che ha parlato in favore di una risoluzione che non passi da un intervento in armi, perché la Siria "contiene tutti gli ingredienti per esplodere in una guerra di dimensioni mondiali".
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