Smentito il pm che accusa il deputato Cosentino

Domani la Camera vota sull’arresto del deputato Pdl. Per i pm c'è l'ombra del clan dei Casalesi dietro gli appalti sulle cave. Le tesi del testimone smontate dal perito del Tribunale

Smentito il pm che accusa  il deputato Cosentino

La richiesta d’arresto a carico del deputato Pdl Nicola Cosenti­no, che domani sarà votata dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati, lo presenta quasi fosse il nuovo Tommaso Bu­­scetta, l’uomo che ha deciso di squarciare il velo di silenzio e ipo­crisie sui patti inconfessabili che ruotano attorno al business dei ri­fiuti in provincia di Caserta e che, per primo, ha avuto il coraggio di fare il nome del politico ai magi­strati.

I suoi verbali spuntano un po’ ovunque, quando c’è un’inchie­sta sui Casalesi, soprattutto se coinvolge esponenti della pubbli­c­a amministrazione e imprendito­ri. Rivela segreti non solo di «sac­chetti d’oro », ma anche su mazzet­te, protezioni politiche e istituzio­nali, capitolati d’appalto, partiti e alleanze elettorali. Insomma, è considerato la Treccani del crimi­ne. Sa tutto e tutto racconta. Da quando si è pentito, poi, ha regala­to a Roberto Savi­ano tante di quel­le confessioni esplosive sulle ami­cizie pericolose tra politici e boss fi­nendo da essere trattato come un oracolo. Eppure, Gaetano Vassal­lo, l’ex «ministro dell’Ambiente» dei Casalesi, assuntore dichiarato di cocaina, ha detto una cosa falsa a quegli stessi pm antimafia che oggi chiedono di sbattere in galera Cosentino e che, da luglio, indaga­n­o sugli appalti in odore di camor­ra per i lavori di impermeabilizza­zione della discarica di Chiaiano. E a sbugiardarlo (dopo la sconfes­sione in appello al processo che ha mandato assolti due sue «vitti­me », i fratelli Luigi e Vincenzo Ca­robene) non è stato un avvocato. E nemmeno uno degli undici inda­gati (che ancora oggi si chiedano perché sono finiti sott’inchiesta per associazione per delinquere fi­nalizzata alla frode in pubbliche forniture e traffico di rifiuti). Bensì il perito del Tribunale, Luigi Boeri.

Per un mese il super-consulen­te se n’è andato in giro per l’enor­me incavo, che ogni giorno ingoia le migliaia di tonnellate di rifiuti che produce il capoluogo, a studia­re il terreno, a fare analisi, campio­nature, carotaggi. Il giudice gli ave­va chiesto di scoprire se fosse vero che l’argilla usata per «foderare» lo sversatoio proveniva non da ca­ve autorizzate, ma - come aveva fatto capire Vassallo- da scavi abu­sivi, controllati da ditte vicine agli immancabili Casalesi e ai Mallar­do, due famiglie tra le più potenti del panorama criminale campa­no. Ditte che avevano lucrato sul­l’emergenza rifiuti e che, al posto dell’argilla,avevano utilizzato ma­teriale scadente raccolto in giro per cantieri e aree dismesse tra il Salernitano e il Comune di Giuglia­no. Quello che ha scoperto, Boeri è andato a dirlo in udienza davanti al gip Egle Pilla e non coincide af­fatto con quanto ha fatto mettere a verbale dall’eco-manager del boss Sandokan. «È stato possibile rinvenire con certezza la provenienza delle cave e gli esami di varia natura, chimi­ca, mineralogica, isotopica, han­no consentito, senza alcuna om­bra di dubbio, di poter certificare che le argille utilizzate corrispon­devano a quelle delle due cave in­dividuate nell’ambito della rela­zione di consulenza tecnica ( Mon­t­ecorvino Pugliano e Montecorvi­no Rovella, ndr ) ». Sollecitato dalle domande del gip, Boeri è stato an­cora più chiaro: «Le argille corri­spondevano a quelle provenienti dai siti oggetto di indagine e le loro caratteristiche corrispondono a quelle definite dalle norme tecni­che, per cui in buona sostanza que­st­e argille avevano capacità e pote­vano essere utilizzate risponden­do alle previsioni del progetto».

Niente argille dei clan, dunque. Crolla il teorema-Vassallo. Anzi, per l’esperto, viene meno anche il rischio che, con una prote­zione scadente, il percolato (il li­quido sprigionato dai rifiuti in de­composizione) finisca nel sotto­suolo avvelenando i pozzi, come pure avevano immaginato i cara­binieri del Noe e i magistrati. «So­no state condotte, inoltre, verifi­che puntuali sulle caratteristiche delle acque di falda, perché c’era una ipotesi che il percolato potes­se in qualche modo refluire nelle acque di falda»,ha dichiarato Boe­ri «e fortunatamente,all’atto della remissione della relazione perico­late le acque di falda non risultano contaminate, per cui questa situa­zione tranquillizza anche per gli aspetti che riguardano la tutela dell’ambiente e gli aspetti della sa­lute pubblica».

Se proprio si vuol trovare qual­cosa che non va nella discarica, ha riferito il perito, non bisogna guar­dare tanto alla qualità dell’argilla, quanto invece all’approssimazio­ne con cui sono stati fatti i lavori di messa in sicurezza del sito e alla forzatura dei tempi di consegna sotto la mannaia di una nuova cri­si igienico-sanitaria in città.

Se qualche errore è stato commesso nella impermeabilizzazione del­l­’incavo è successo perché proget­tista e costruttore si sono parlati poco, per nulla o male. I tecnici, dunque, hanno messo a rischio l’utilizzo dello sversatoio che spunta nella selva oscura di Chia­iano. Non la camorra di Cosenti­no, comodo paravento per tutto ciò che non va in Campania.

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