«Allinizio sembrò una bombetta», scrivono Enzo Catania e Mario Celi. Quella «bombetta» era Passaportopoli. E forse il termine resta più che adeguato se si considera le conseguenze pressoché nulle avute dallo scandalo dei documenti contraffatti sui colpevoli. Nel 2000, anno in cui la bombetta deflagrò, cerano di mezzo Alvaro Recoba e lInter, Sebastian Veron e la Lazio, ma alla fine i calciatori coinvolti risultavano dodici. E le società che sarebbero dovute finire nei guai erano Milan, Roma, Lazio, Udinese, Vicenza. E Sampdoria. Mekongo, Ze Francis e Job non erano certo dei fenomeni ma erano tesserati blucerchiati, persino scesi in campo per partite di campionato e coppa. Finirono condannati a sei mesi di squalifica ciascuno, mentre la società se la cavò con una multa. I passaporti contraffatti per far passare giocatori extracomunitari come discendenti di italiani (e quindi con doppia nazionalità) finirono nel mirino anche della procura della Repubblica di Genova, ma non risulta che si sia mai arrivati alla conclusione di un processo.
E i magistrati ordinari genovesi non si sono neppure tirati indietro quando i colleghi di Roma hanno avviato i primi accertamenti sul caso dei bilanci truccati, del «doping amministrativo». Il «romanzo nero del calcio italiano» ricorda che «nel dicembre 2006 la procura di Genova aveva già proceduto a carico di dieci dirigenti, tra cui per lappunto Galliani, il presidente della Sampdoria Garrone, il patron del Genoa Preziosi». Lindagine più clamorosa, anche per i fatti contestati, riguardava le grandi, Inter e Milan in testa. Ma Genoa e Samp erano lì. Inutile dire che qui a Genova il processo è già partito. È partito parallelo, con Garrone e Preziosi in udienza quasi contemporaneamente.
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