Chi fa scena muta durante la confessione pensi ai suoi post sui social. Gli verrà l'ispirazione

Quando sono nel confessionale una delle frasi solite che sento è: "Non so cosa dire!". Potrei proporre di guardare i propri social, dove invece con facilità si "confessano" tante situazioni anche opache

Chi fa scena muta durante la confessione pensi ai suoi post sui social. Gli verrà l'ispirazione
00:00 00:00

Mi è stata mandata una simpatica vignetta che raffigura un confessionale. Sulla sinistra si vede la tipica e classica tenda chiusa da cui escono i piedi di un uomo inginocchiato. Sulla destra c'è invece lo spazio del prete, seduto in tonaca e stola viola, che però ha sul tavolino lo schermo di un computer con la scritta «Facebook» e in mano ha un cellulare con «Instagram». Dalla parte del penitente esce un fumetto con scritto: «Padre, ho peccato...». E il confessore risponde: «L'ho già saputo!».

Quando sono nel confessionale una delle frasi solite che sento è: «Non so cosa dire!». Potrei proporre di guardare i propri social, dove invece con facilità si «confessano» tante situazioni anche opache. Sarebbe interessante scorrere le fotografie del profilo personale trasformando i post in un'occasione di esame di coscienza, sia in bene che in male. Troppo spesso infatti si identifica l'esame di coscienza con la ricerca solo di quanto c'è di sbagliato, di quello che non funziona, di ciò che è mancante oppure oscuro. Se è un «esame», allora chiede di considerare tutto, quindi anche quanto c'è di bello, di buono, di vero. Non serve solo a chiedere scusa o pietà, ma anche e soprattutto a dire «grazie» e a stupirsi della forza nascosta del bene. Che i due estremi vadano tenuti insieme come poli energetici lo indica ad esempio il vecchio detto «vizi privati e pubbliche virtù». Vizi e virtù, yin e yang, bianco e nero, luce e tenebre, pieno e vuoto.

Nella situazione contemporanea della società e del modo di pensare dei singoli il motto forse si è capovolto e grazie alle dinamiche dei social è più confacente parlare di «vizi pubblici e private virtù». Invertendo i fattori, il risultato non cambia, ma interpella. Si scorre lo schermo così velocemente che non c'è più un «esame» attento, paziente, lento. Persino le tre famose scimmiette si trovano cambiate: quella con le mani sugli occhi del non vedo, quella con le mani sulle orecchie del non sento, quella con le mani sulla bocca del non parlo, si trasformano nella versione digitale in non leggo, non capisco, commento lo stesso. Diventa una goduria abbuffarsi di «vizi pubblici», chiudendo le «private virtù» in un angolo nascosto, relegandole al rango della soggettività dei gusti personali e disinnescandole così della loro forza di interpellare, interrogare, smuovere, spronare, educare.

Quando però il privato viene classificato come relativo e il pubblico diventa apparenza, le virtù e i vizi perdono consistenza e tutto diventa lecito. Per spiegare meglio questa idea mi faccio aiutare da una simpatica pagina di Bertolt Brecht, intitolata Interrogatorio dell'uomo buono, scritta nel 1934 con ironia sferzante. Cito liberamente. Avanza: sentiamo dire che sei un uomo buono. Quello che hai detto una volta, lo mantieni. Ma cos'è poi che hai detto? Sei sincero, dici la tua opinione. Ma quale è la tua opinione? Sei coraggioso. Ma contro chi? Sei saggio. Ma per che cosa? Non badi al

tuo vantaggio. Ma a vantaggio di chi, allora? Sei un buon amico. Ma sei amico di gente buona? Ascolta: sappiamo che sei nostro nemico, perciò ora ti vogliamo mettere al muro. Però in considerazione dei tuoi buoni meriti e delle tue buone qualità, il muro sarà buono, ti fucileremo con buone pallottole, di buoni fucili e ti seppelliremo con una buona pala in terra buona.

Come ci ritrovo tante situazioni attuali e tanti dibattiti, sia nel pubblico che nel privato! Così facendo si perde il senso della misura, il senso del limite, ma anche il senso del ridicolo. Un tempo il rapporto tra vizi e virtù era tutelato in negativo con il senso della vergogna che, basandosi sulla minaccia del disprezzo comune, generava il terrore di quella cattiva reputazione che etichettava qualcuno come «lo scemo del villaggio», distruggendone l'autostima. Oggi forse non si ha più vergogna, però la reputazione social o web è alquanto condizionante, anche perché ritrovarsi «lo scemo del villaggio globale» è molto peggio.

Lasciarsi ammaliare dai vizi è un peccato, riscoprire la dinamica delle virtù, pubbliche e private, può essere invece l'occasione di un esame di coscienza per dirci: «Ho visto i post... c'è anche molto di bello, di buono, di vero».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica