Negli ultimi mesi si sta sviluppando un dibattito sempre più acceso rispetto al futuro della formazione universitaria in Italia, tra prospettive storiche, analisi delle esigenze attuali e proposte di trasformazione. Se è condiviso che l'istruzione superiore sia il motore strategico per il rilancio del Paese, alcuni presupposti richiedono maggiore scrutinio. Tra questi, uno degli argomenti più discussi e fraintesi riguarda la legittimità della formazione digitale, soprattutto a confronto con la tradizionale formazione in presenza.
Buona parte delle critiche si basano sul pregiudizio che la didattica a distanza sia per sua natura meno efficace. La ricerca scientifica in campo educativo, però, evidenzia che si tratta di un falso mito. Già dai tempi della formazione per corrispondenza e radiotelevisiva l'opinione dominante è che l'efficacia dell'apprendimento, in presenza o a distanza, dipende da come questo viene promosso, ovvero dalle modalità che vengono utilizzate per coinvolgere, motivare e far partecipare attivamente gli studenti. Partecipare fisicamente a una lezione non garantisce necessariamente un apprendimento migliore rispetto a seguirla online. Certo, la presenza favorisce l'interazione tra pari, ma nel mondo del lavoro collaborare a distanza è una realtà consolidata: piattaforme digitali, videoconferenze e documenti condivisi mostrano come la collaborazione online sia ormai parte integrante della vita quotidiana. Didattica in presenza e digitale non si escludono: le modalità ibride combinano il meglio di entrambe, creando ambienti di apprendimento inclusivi e flessibili. Insistere su una contrapposizione
sterile tra presenza e didattica digitale significa ignorare la realtà della quale tutti facciamo esperienza nel quotidiano: dalle riunioni su Meet alle chat WhatsApp, ai fogli condivisi su Drive. Tutti noi collaboriamo con i nostri colleghi, ci scambiamo informazioni e apprendiamo a distanza, sperimentando forme avanzate di apprendimento collaborativo e reciproco. Se vogliamo uscire da una discussione basata su prese di posizione aprioristiche, è necessario riconoscere che ciò che impedisce agli studenti universitari di formarsi efficacemente, di sviluppare capacità di pensiero critico, di essere creativi e innovativi, non è il fatto di recarsi fisicamente in un'aula o meno. Il vero problema nel nostro Paese è la bassa percentuale di laureati: nel 2023, solo il 30,6% dei giovani italiani tra 25 e 34 anni possedeva un titolo universitario, contro una media UE del 43,1%. Un divario che evidenzia la necessità di ampliare l'accesso all'istruzione superiore, aumentando, e non riducendo, le possibilità di offerta formativa. La formazione a distanza è un potente strumento di inclusione sociale. Permette a lavoratori, genitori, persone con disabilità e studenti in aree remote di accedere a un'istruzione altrimenti inaccessibile. Le università telematiche, d'altronde, non sono più semplici erogatrici di contenuti: investono in ricerca, infrastrutture e didattica avanzata, con un modello che include laboratori virtuali e attività interattive per stimolare la partecipazione.
Negli atenei telematici italiani vige un modello che integra almeno un quinto di attività interattive, progettate per stimolare il coinvolgimento e la partecipazione attiva degli studenti includendo laboratori virtuali, simulazioni interattive e discussioni collaborative. Le università telematiche seguono inoltre
rigorosi standard di accreditamento ANVUR, come le università tradizionali. Negli ultimi anni, hanno potenziato i loro organici con docenti e ricercatori, migliorando la produzione scientifica e sviluppando dottorati che integrano studio online e ricerca sul campo. A livello internazionale, Harvard, MIT e numerosi altri prestigiosi atenei già offrono programmi con componenti digitali, dimostrando che l'eccellenza accademica e la formazione a distanza possono coesistere e formare una nuova generazione di studiosi capaci di affrontare le sfide globali. L'integrazione del digitale è cruciale per modernizzare l'istruzione italiana. Rapporti come il Digital Education Action Plan della Commissione Europea sottolineano il valore della formazione online per ampliare l'accesso e rispondere alle esigenze di una società globalizzata.
Non si tratta di scegliere tra presenza e digitale, dunque, ma di combinare entrambi per costruire un sistema educativo più inclusivo e competitivo. Occorre superare i pregiudizi e adottare le migliori pratiche internazionali, guardando alle evidenze.
Solo così l'istruzione superiore potrà rispondere ai cambiamenti sociali e contribuire al progresso culturale ed economico del Paese.*Anna Dipace, preside della Facoltà di Scienze Umane, della Formazione e dello Sport - Università Telematica Pegaso
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