La "sindrome da ascensore": ecco la guida per difendersi

La "sindrome da ascensore": ecco la guida per difendersi
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«Ci sono solo tre momenti nella nostra vita in cui entriamo in uno spazio piccolo, senza finestre, chiuso e senza un’uscita immediata: il ventre materno, la tomba e l’ascensore» (citazione di Layne Longfellow sul «New York Times» nel 1977). Qui ci soffermeremo sul terzo luogo: «l’ascensore»; per la precisione sulla «sindrome dell’ascensore», cioè quel contesto, più o meno claustrofobico, che ne fa uno dei contenitori più stressanti sotto il profilo psico-fisico. Una situazione psicologicamente borderline che offre varie opzioni, tutte ugualmente tragicomiche.
Nell’ordine: 1) abbassare lo sguardo per non incrociare gli occhi nel nostro occasionale compagno di viaggio verticale; 2) non spiccicare neppure una parola fino all’arrivo dell’«elevator» al nostro piano; 3) se la nostra meta è particolarmente alto (e quindi i secondi di mutismo rischiano di essere insopportabili) scambiare con lo sconosciuto di turno interessanti riflessioni stagionali del tipo: «Oggi fa proprio freddo» (in inverno), «Oggi fa proprio caldo» (in estate), «Non ci sono più le mezze stagioni» (in autunno e/o inverno); se poi ci si imbatte in persone di una certa età è facile che venda fuori anche la frase standard «I giovani di oggi non hanno voglia di lavorare» o, in alternativa, «I giovani di oggi non hanno rispetto per gli anziani».

Ma sarebbe limitativo chiudere il discorso qui. Per fortuna a offrirci nuovi spunti di riflessione arriva un sondaggio in 21 nazione commissionato da Preply, società specializzata in corsi linguistici online. I risultati sono sorprendenti soprattutto in relazione all’opzione «silenzio/imbarazzo». Lo scenario più temuto per le pause conversative è legato al «primo appuntamento col partner», seguito dall’ansia di non proferire verbo negli «spazi ristretti» (in primis, appunto, l’ascensore): un timore trasversale, considerato che la percentuale di agitazione tra maschi e femmine è statisticamente la stessa. Sentimento che ci tocca da vicino anche alla luce del fatto che - secondo una ricerca - «l’Italia risulta il paese con più ascensori al mondo, oltre un milione di impianti che aumentano in modo esponenziale di anno in anno».
«Gli italiani - spiegano i curatori del sondaggio Preply - sembrano essere particolarmente a disagio quando il dialogo si ferma, resistendo solo 6,2 secondi prima di sentirsi “obbligati“ parlare: un tempistica molto inferiore alla media delle persone nel resto del mondo». Insomma, rispetto all’ascensore, non c’è habitat in cui ci sentiamo meno a nostro agio.

Un dato sociologicamente interessante: «Le generazioni più giovani tendono a provare questa insofferenza in modo più intenso; l’82% della Gen Z afferma di trovare imbarazzanti i silenzi prolungati, rispetto a solo il 64% dei Boomer. Il divario generazionale potrebbe derivare dalla maggiore preoccupazione dei giovani del giudizio altrui, una pressione che sembra attenuarsi con l’età».
Il sondaggio ha però la pecca di non analizzare il «fattore-olfatto», una delle ragioni per cui non è, quasi mai, un gran affare salire in un ascensore affollato. Lo spot con Ilary Blasi che rimane profumata anche al termine di un’intensa giornata di lavoro è infatti solo uno spot: nella realtà le cose - come sa bene il nostro naso - è assai diversa.

Ragion per cui in cima agli atteggiamenti più intollerabili c’è la gentilezza del solito tizio che, prima di pigiare il fatidico pulsante, tiene spalancate a oltranza le portiere dell’ascensore per far entrare il maggior numero possibile di persone (comprese quelle col cane a guinzaglio e/o in braccio). A quel punto, meglio uscire dal «montacarichi» e farsi le scale a piedi...

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